Non si possono indagare le notizie false se non si guarda all’ecosistema nel quale si diffonde. La coltura delle fake news (e la cultura delle fake news) non può prescindere dalle piattaforme che non sono solo il supporto che fa da sfondo, ma spesso un incubatore vero e proprio.
La conclusione, una delle conclusioni, arriva dalla tavola rotonda che ha raccolto un guru del debunking come Craig Silverman, media editor di Buzzfeed News, insieme a Aine Kerr, manager delle partnership globali di Facebook.
Insomma, uno sguardo critico sulla diffusione delle notizie false in rete e uno degli attori principale: il social media più diffuso del pianeta.
“Spesso provengono da gruppi Facebook che nascono con account falsi per poi ampliarsi in un ecosistema bipartisan” ha affermato Silvermann al panel che si è svolto nella mattinata di giovedì 6 aprile.Un primo appuntamento, quello all’hotel Brufani che ha inaugurato una serie di appuntamenti dedicati alle fake news. All’interno del programma, infatti, la direzione dell’Ijf ha voluto inserire anche una discussione specifica sul ruolo delle piattaforme per poi passare alle conseguenze legali.
La questione delle fake news, non riguarda infatti soltanto la qualità dell’informazione e l’opinione pubblica. Al centro del dibattito, infatti, ci sono le conseguenze giuridiche. Lo spiegano Giovanni Battista Gallus, avvocato esperto di diritti dell’informatica, Francesco Paolo Micozzi, avvocato penalista specializzato in diritto delle nuove tecnologie. L’occasione per fare il punto è il panel intitolato “Quanto costano le bufale”, in cui i relatori analizzano il disegno di legge Gambaro, quello anti fake news arrivato in Senato lo scorso 6 febbraio. I due avvocati guardano con diffidenza alla proposta, perché «le norme che puniscono la manipolazione dell’informazione ci sono già». Il problema, dunque, non è il presunto vuoto normativo, quanto piuttosto l’incapacità di applicare le norme al mondo digitale. La legge 595 del codice penale, ad esempio, regola il reato di diffamazione, l’articolo 661, invece, già punisce l’abuso di credulità popolare. Insomma, la legge c’è, secondo Gallus e Micozzi. E se anche a livello europeo le disposizioni ci sono, quello che i relatori si augurano è che ad aumentare sia l’educazione delle persone, soprattutto delle fasce più giovani, ai media, cioè la capacità di mettere in discussione quanto letto o sentito. Un approccio da imparare fin da piccoli, come succede in Svezia dove i protagonisti di un fumetto per ragazzi cercano di insegnare la sana diffidenza chiacchierando sull’attendibilità delle fonti.
Tutto sotto lo sguardo di Jeff Jarvis che poche settimane fa, in un articolo prodotto a valle di un incontro che il docente della Cuny ha avuto al Guardian ha chiesto un coinvolgimento tra giornalisti, editori, piattaforme e pubblico per combattere le fake news.