Quella del blogger, visiting scholar a Stanford e studioso delle nuove tecnologie, Evgeny Morozov, non è solo una riflessione sull’impatto di internet e dei social network sulle nostre vite: il suo è un attacco senza riserve di colpi.
Contro ogni costruzione condivisa e confortevole sicurezza, lo studioso degli effetti sociali delle nuove tecnologie ha presentato alla Biennale Democrazia un panel dal titolo Internet e Democrazia, un’ironica inversione. Durante l’incontro il ricercatore bielorusso si è scagliato proprio contro il senso di fiducia che – spesso erroneamente – riponiamo nei confronti delle tecnologie che usiamo più spesso e che, apparentemente, ci aiuterebbero a semplificare la vita di ogni giorno migliorando il mondo che ci circonda.
«Abbiamo pensato che la rivoluzione digitale ci avrebbe traghettato fuori dalla crisi – dice Morozov – ma ci troviamo con servizi come Uber che distruggono le competizioni locali e che possono accedere ad accordi commerciali da milioni di dollari con paesi come l’Arabia Saudita».
Il mondo è cambiato velocemente, dice Morozov: vent’anni fa Microsoft dominava incontrastata nel mercato informatico vendendo pc, ma oggi, grazie alle pubblicità e alla profilazione degli utenti, a farla da padrone sono aziende come Google e Facebook. Grazie al contributo di milioni di persone che con le loro ricerche “addestrano” quotidianamente e inconsapevolmente l’intelligenza artificiale di Google, quest’ultima è in grado di affiancare gli Stati nell’offrire servizi ai cittadini, e accrescere il proprio bacino di profilazioni. Come evidenzia Morozov, la ricchezza di queste aziende non più data dalla loro capacità di produrre un bene competitivo, ma di trasformare il contributo dato dagli utenti che, con le loro interazioni, producono un valore aggiunto impalpabile, almeno da questo lato della tastiera. È citato il caso di Google DeepMind, azienda che si offre di avvisare i cittadini del Regno Unito che potrebbero rischiare di contrarre malattie al fegato, sulla base delle informazioni che ricevono direttamente dal sistema sanitario del Regno Unito. Non sono più i soli utenti dunque a produrre questo valore aggiunto, ma gli stessi Stati che, nel tentativo di contenere i costi e inseguire il pareggio di bilancio, danno in mano ai colossi della rete le chiavi della merce più sensibile: la nostra privacy.