Ivrea progetta il suo futuro che per Carlo Della Pepa, sindaco dal 2008, si articola su candidatura Unesco da una parte, e sul rilancio del territorio dall’altra. «In ogni strada di Ivrea si respira la cultura olivettiana. È una miniera di storia e di informazioni utilizzate in minima parte. C’è troppa frammentazione: Archivio Storico Olivetti, Archivio del Cinema Industriale, Fondazione Adriano Olivetti, e museo Tecnologicamente. Quattro poli invece di un nucleo solo, facilmente individuabile dal visitatore, che possa raccontare la storia di Olivetti».
Perché manca un nucleo comune?
Perché la storia è recente: nel 1961 muore Adriano Olivetti, ma l’azienda continua a operare. Oggi ci sono ancora delle forze centrifughe che fanno sì che ci sia difficoltà a collaborare. La candidatura è il primo tentativo di mettersi insieme per fare memoria collettiva di questa esperienza industriale.
A cosa pensa quando parla di forze centrifughe?
Sono le forze legate a gruppi, associazioni, persone con una visione particolare della storia Olivetti. Così una ha sviluppato il discorso del cinema, una quella del cartaceo, una la didattica. Ognuna ha pensato di fare qualcosa di importante, e effettivamente l’ha fatto, ma lavorando a compartimenti stagni.
A che punto è la Candidatura Unesco?
La prossima primavera avremo l’esito: quest’anno arriveranno in città gli ispettori per verificare il contenuto del dossier che abbiamo preparato. Il 2017 sarebbe potuto già essere il nostro anno, ma il ministero dei Beni Culturali, con una procedura “innovativa”, ha deciso di proporre due candidature, la nostra e quella di Bergamo con le fortezze veneziane. La scelta della Commissione Nazionale Unesco è caduta su Bergamo.
Che chance dà a Ivrea 2018?
Sarà una valutazione che faranno gli ispettori. L’Italia ha 51 siti Patrimonio dell’Umanità, potenzialmente noi saremo il 53esimo. Però sarebbe l’unico sito dell’industria del ‘900. Alcuni siti industriali ci sono, ma sono villaggi ottocenteschi. I nostri spazi hanno una tradizione industriale e innovativa. Il riconoscimento Unesco darebbe un valore aggiunto, dimostrerebbe alle aziende che andrebbe a insediarsi che esiste una continuità ideale.
Qual è il significato della candidatura per Ivrea?
Ha due valenze. La prima, ricordare a tutti la vicenda industriale dell’Olivetti sia dal punto di vista dell’innovazione che della comunicazione del prodotto, del design e della grafica. Il rapporto tra industria e città, territorio allargato e interno dell’azienda. La candidatura ha però anche una valenza locale, quella di recuperare in chiave innovativa spazi enormi, 150mila mq, di cui la metà oggi è vuota e nella quale vorremmo che si insediassero anche piccole o medie imprese.
Che ricadute economiche vi immaginate?
Ci rendiamo conto che il nostro non è un bene con una valenza storica come Colosseo o Pompei, quindi non immaginiamo flussi turistici di chissà quale tipo. Olivetti e la sua architettura industriale hanno però un’importanza, storica ed economica, quindi ci immaginiamo un miglioramento in termini numerici. Ci sarebbero poi ricadute dirette, ma limitate, legate a leggi nazionali che prevedono finanziamenti destinati ai beni Unesco.
Con quali risorse intendete gestire il patrimonio?
Sono beni privati ed è giusto che i privati mettano le risorse sulle loro proprietà.
Come vive Ivrea oggi?
Oggi Ivrea ha una qualità della vita elevata e ha ottime potenzialità. Uno dei problemi, però, è l’abbandono del territorio da parte dei giovani che dopo aver studiato fuori non hanno l’opportunità di lavorare a Ivrea. Peccato, perché in ambito tecnologico siamo ancora un’area di avanguardia: ad esempio mi dicono che sia in corso la sperimentazione della rete internet 5G.
Come vede Ivrea tra dieci anni?
Spero che le potenzialità del territorio possano realizzarsi. A Ivrea ci sono tanti giovani e imprese che hanno investito e stanno alzando la testa: un bel tessuto di aziende piccole, anche in ambito informatico, il Bioparco che vede l’inserimento di aziende multinazionali, startup internazionali e realtà più locali. Penso poi al Castello di Parella, che oggi offre ristoranti, spa, e mi riferisco anche a tutte quelle iniziative di micro ricettività e industrie agricole. I nostri vini, l’Erbaluce di Caluso e vino Carema hanno fatto un salto di qualità notevole.
Ivrea vive in un limbo post olivettiano?
No, il limbo c’è nella testa di chi vede solo questo. Può far comodo ai giornali il commiserarsi e il piangersi addosso, ma il territorio sta scoprendo le proprie valenze. Ivrea non ha nulla da invidiare a Langhe e Roero: non abbiamo colline e vigneti come quelli, ma abbiamo un territorio con un Anfiteatro Morenico unico, una vicinanza alle montagne invidiabile, una cultura enogastronomica significativa. Cos’è successo? Nel ‘900 l’Olivetti ha cristallizzato un po’ il territorio: dava lavoro, offriva servizi aggiuntivi ai dipendenti, lo stipendio era degno di nota. Tutto quello non c’è più, e il territorio si sta riscoprendo.
Qual è la sua ricetta per sfruttare queste potenzialità?
Sono tre le nostre linee di sviluppo. Potenziare i collegamenti ferroviari con la Città Metropolitana, innanzitutto. Poi, incentivare lo sviluppo di aziende innovative, infine favorire l’offerta turistico culturale. C’è un problema di comunicazione e anche un problema di rappresentanza politica. Il nostro territorio è particolarmente parcellizzato: l’area omogenea di Ivrea ha moltissimi comuni, la maggior parte piccoli. Fino a quando il nostro territorio non avrà una rappresentanza a livello di Città Metropolitana (l’ente che ha preso il posto della Provincia, ndr), Regione e anche Parlamento, il nostro territorio sarà marginale. La Città Metropolitana mostra diversi problemi su tanti aspetti, compreso quello culturale. Già con Fassino non c’era particolare dialogo; ora c’è completa assenza dell’amministrazione Appendino, nonostante le nostre sollecitazioni e inviti. In questi mesi di giunta grillina non abbiamo mai avuto un momento di incontro sul territorio canavesano.
Cosa chiede all’amministrazione della Città Metropolitana?
Prima di tutto, attenzione e confronto. Poi, al di là delle differenze politiche, penso che strategie di questo genere non abbiano colore politico. Torino è l’unica Città Metropolitana in Italia così grande: da un punto di vista politico credo che questo ente si possa salvare soltanto se riconosce di avere un centro forte e importante in Torino e dei centri satellite come Pinerolo, Susa, Ivrea e Carmagnola, dove i cittadini possono ricevere servizi e dove si possa fare programmazione a contatto con il territorio. Se si accentra tutto su Torino il rischio è che questa Città Metropolitana, nel migliore dei casi, non faccia nulla, nel peggiore faccia esplodere una serie di problematiche gravi come la manutenzione delle scuole superiori. Chiunque la governi deve fare una scelta politica.