La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Universitari con traumi infantili, amici e partner proteggono dalla depressione

condividi

Il proverbio senza tempo “chi trova un amico trova un tesoro” è valido anche in psicologia. Le reti sociali esterne al nido familiare, come amici e partner, sono uno scudo protettivo per la salute mentale degli universitari con alle spalle traumi infantili (Aec). Lo dimostra Breaking the circle, uno studio di un team di ricerca di tre atenei italiani (Università di Torino, Università europea di Roma e Università di Padova), pubblicato sulla rivista Journal of affective disorders con il sostegno dell’Unione europea. Chi ha vissuto un’infanzia traumatica è più esposto alla disregolazione emotiva: una vulnerabilità che facilità le insidie di psicopatologie come ansia e depressione. Le reti sociali possono essere un’ancora di salvataggio. Ne abbiamo parlato con il professore Mauro Adenzato, che insieme alla collega Rita Ardito ha rappresentato il dipartimento di Psicologia torinese.

Cosa si intende per disregolazione emotiva?

“L’incapacità di essere consapevoli delle proprie emozioni e di poterle modulare in modo efficace nelle relazioni sociali. Anche se siamo predisposti alla nascita a provare certe emozioni, per capire come regolarle dobbiamo nutrirci delle interazioni con figure di riferimento durante la crescita, a partire dai genitori. Un’infanzia disfunzionale o traumatica invece favorisce la disregolazione emotiva, una condizione transdiagnostica sempre presente nei casi di ansia o depressione”.

Perché gli studenti universitari sono considerati un campione vulnerabile?

“Per una serie di condizioni psicologiche che incontrano: la formazione di nuove reti sociali, di legami affettivi, l’uscita dal nucleo familiare, la pressione sociale degli esami e magari di una borsa di studio da mantenere. Non sono vulnerabili in quanto universitari: sono persone a contatto con un mondo intersoggettivo che cambia in modo peculiare, tra sfide e grandi opportunità di confronto”.

Come impattano i nuovi legami affettivi sulla loro stabilità psicologica?

“Il famoso detto ‘chi trova un amico trova un tesoro’ ha un fondamento. Il supporto di amici e di partner ha il potere di limitare i danni di esperienze avverse infantili e di preservare questi giovani dal rischio di sviluppare sintomi depressivi o altre psicopatologie”.

L’effetto protettivo delle reti sociali è dimostrato anche per gli universitari senza traumi infantili?

“Lo studio riguarda in modo specifico i giovani con alle spalle esperienze avverse infantili, ma tutti abbiamo necessità di nutrire la nostra dimensione intersoggettiva: avere amici, partner, qualcuno che ci guardi negli occhi, abbassa ulteriormente il rischio di psicopatologie anche per chi ha avuto un’infanzia positiva”.

Perché nella ricerca il supporto familiare non ha mostrato lo stesso effetto protettivo garantito da amici e partner?

“Se ho avuto dei genitori abusanti da un punto di vista emotivo o fisico, non saranno loro a farmi uscire dal ciclo vizioso dei rischi di sviluppare una psicopatologia, anzi, il rischio è che loro possano continuare a generare sofferenza e dolore. Per questo abbiamo intitolato lo studio Rompere il cerchio, cioè spezzare la catena di un meccanismo che si autoperpetua. Una via di uscita esiste: sono gli amici e i partner”.

Si parla di società atomizzate. Le reti sociali sono sempre più fragili?

“Ci sono delle trasformazioni in corso, ma ognuno di noi ha una propensione a costruire nuovi legami, siamo curiosi per natura dell’altro e il nostro carburante è l’intersoggettività”.

Non si è indebolita la ricerca dell’altro?

“No, fa parte della natura umana, come vedere il mondo a colori: non possiamo svegliarci e decidere di vederlo in bianco e nero. Stanno cambiando le forme della dimensione intersoggettiva: cerchiamo conferme, approvazione, magari non solo più di persone in carne e ossa ma anche online. La ricerca del like a tutti i costi sui social network non è altro che il tentativo continuo di essere visti da qualcuno”.

I fenomeni di isolamento giovanile sono un cortocircuito di questo bisogno inevitabile?

“Sono la manifestazione del fallimento di una ricerca, come conseguenza di delusioni o profondissimi dolori. Il modo in cui siamo stati trattati può spingere al ritiro, per paura di farci di nuovo del male. Spesso è il risultato di ferite nate proprio durante quei tentativi di costruire un legame affettivo. Tentativi che a volte purtroppo falliscono e attivano le stesse aree cerebrali di quando ci scottiamo una mano e istintivamente la allontaniamo dalla fonte di calore”.

Articoli Correlati