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Perché i giornalisti scioperano

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Cosa spinge i giornalisti italiani a scioperare oggi? Il contratto è scaduto da tempo, le condizioni economiche sono difficilmente migliorabili e l’interlocuzione con gli editori è complicata: Ma il vero problema per i giornalisti che si riconoscono nella presa di posizione della Federazione nazionale della stampa italiana è il silenzio, l’accettazione di una crisi e trasformazione del giornalismo e dell’informazione su cui editori e giornalisti non riescono a discutere e trovare soluzioni concordate.

Il contratto collettivo nazionale è scaduto nel 2016, ed era stato negoziato tre anni prima: significa che le condizioni di trattamento dei giornalisti sono le stesse dal 2013, nonostante i grandi cambiamenti che hanno interessato la categoria e il mondo nell’ultimo decennio.

La Federazione nazionale stampa italiana, infatti, denuncia “il potere d’acquisto degli stipendi dei giornalisti è stato eroso dall’inflazione, quasi del 20% secondo Istat”, ma sottolinea anche il problema della “divisione generazionale nelle redazioni”, dove spesso i più giovani non hanno tutele, e quello dell’Intelligenza artificiale: “Non voler regolamentare l’IA nel contratto significa volerla usare per i sostituire i giornalisti”, ha dichiarato la segretaria generale Fnsi Alessandra Costante.

Il problema, però, è più generale, e come spiega Roberto Ciccarelli sul Manifesto, riguarda la crisi del modello giornalistico: nell’era dell’Intelligenza artificiale e delle piattaforme, quale ruolo rimane per i giornalisti? E soprattutto, che cosa succederò al diritto all’informazione? “Il giornalismo è anche punto di vista, scavo in profondità, prospettiva e creazione. Tracce di un altro mondo ci sono e non si dovrebbe lasciarle ai palinsesti prevalenti”, scrive Ciccarelli.

La scelta di scioperare arriva dopo il fallimento di un tavolo di trattative aperto con la Federazione italiana editori giornali. A luglio, infatti, la Fnsi aveva annunciato di ritenere inaccettabile la proposta avanzata dagli editori, proposta che prevedeva un aumento (in elemento distinto dalla retribuzione) di 150 euro lordi in due anni, ma anche l’introduzione di un salario di ingresso per i nuovi assunti. “Fanno ostruzionismo per poter continuare a lucrare sui più deboli pagati 5 euro al pezzo, il loro gioco è privatizzare i guadagni e socializzare le perdite”, aveva commentato Costante. Spesso, infatti, le testate si avvalgono di collaboratori e di persone che non hanno contratti stabili, e secondo la Fnsi il salario di ingresso sarebbe una mossa “svincolata dalla certezza di assunzioni e stabilizzazioni, utile solo agli editori per risparmiare sulle assunzioni obbligatorie”. Quando una testata si dichiara in stato di crisi e ottiene dei prepensionamenti, infatti, è tenuta ad assumere un giornalista a tempo indeterminato ogni 3 che fuoriescono.

La Fieg risponde parlando di “ingenti investimenti” realizzati negli ultimi anni “a tutela sia della qualità e della libertà dell’informazione che dell’occupazione giornalistica”, nonostante “il dimezzamento dei ricavi che in tutto il mondo ha investito la carta stampata” e accusando il sindacato di non voler rinunciare a privilegi “antiquati”, come il pagamento di alcune festività abolite dal calendario civile nel ’77, o gli scatti di anzianità in percentuale. La sostenibilità, o l’insostenibilità, a livello economico, del giornalismo inteso in senso tradizionale, è anch’essa un tema fondamentale nella discussione.

Gli editori si sono espressi anche sull’IA, che a parere loro non va regolamentata con “norme limitative destinate ad essere velocemente superate”, ma con “un approccio etico da parte delle aziende”, tramite l’adozione di codici per tutelare sia i giornalisti sia i lettori.

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