Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne la pagina di politica che si è consumata al Parlamento è stata una vittoria solo a metà: alla Camera è passato il Ddl sul femminicidio, mentre in Senato la legge sul consenso è stata fermata dalla Lega. In commissione giustizia il Carroccio ha chiesto ulteriori approfondimenti a proposito della riforma dell’articolo 609 bis, che prevede la nozione di “consenso libero e attuale” in relazione al reato di violenza sessuale. Ne abbiamo parlato con Laura Scomparin, professoressa ordinaria di Diritto processuale penale all’Università di Torino.
Professoressa, che cosa funziona nel dispositivo ipotizzato?
“La riforma dell’articolo 609 bis è certamente la manifestazione della volontà del Parlamento di dare un segnale: è una norma che ha un significato soprattutto culturale e in questo sta una nota positiva. Cioè introdurre esplicitamente il consenso come elemento necessario per un rapporto sessuale. Quando parlo di rapporto sessuale mi riferisco in senso ampio a qualsiasi contenuto sessuale possa poi essere ricondotto alla fattispecie dell’art. 609 bis. Ecco, questa norma sta a dire: attenzione, il consenso è sempre necessario. In realtà, non si tratta veramente di una novità: dal punto di vista giuridico, anche oggi per come è strutturata la norma e soprattutto per come è interpretata in sede applicativa dalla giurisprudenza è sempre stato necessario verificare se ci fosse o meno il consenso della vittima. A volte, però, le norme hanno anche un ulteriore significato: sottolineare – sia per l’opinione pubblica sia per i magistrati che devono applicarla o per gli avvocati che devono difendere vittima o indagato (e poi imputato) – che il punto cruciale è la necessità di un consenso rispetto all’atto che viene compiuto”.
E che cosa, invece, non funziona?
“Ci sono dei punti giuridicamente un po’ delicati nella nuova formulazione, che potrebbero anche dare adito a qualche problema interpretativo e applicativo. Dire che serve un consenso libero e attuale per qualunque atto sessuale da un certo punto di vista è scontato. Ovvio che sia così e che se non è così c’è reato. Ma processualmente come provo io, che sono indagato o imputato, che la persona con cui ci sono stati atti sessuali mi ha dato questo consenso libero, attuale, perdurante nel corso del tempo? Questo è un problema che processualmente si è sempre posto. Qualcuno dice che sia praticamente impossibile provare la perduranza del consenso per tutto il tempo dell’atto sessuale. Soprattutto quando magari tra le due persone c’è una relazione in corso. Ma in questo senso, la prova del consenso non è resa più facile dal fatto che la norma sottolinei che il consenso libero e attuale sia necessario. Il consenso è sempre problematico da dimostrare e quindi la nuova norma dal punto di vista giuridico non risolve di per sé queste difficoltà, ma sottolinea solo l’importanza di dimostrare il consenso”.
Dal punto di vista giuridico hanno fondamento le posizioni di chi sostiene che la riforma comporti un’inversione dell’onere della prova?
“Una vera inversione dell’onere della prova non potrà mai esserci: dire che l’indagato deve provare la perduranza del consenso significherebbe introdurre una prova diabolica. Nessun magistrato potrà mai interpretare la norma in questo senso: sarà il pubblico ministero a dover sempre provare che la condotta dell’imputato rientra nella fattispecie di reato. Un aspetto problematico di cui invece si parla poco è l’altra aggiunta che è stata fatta al secondo comma del 609bis, quella sulla condizione di vulnerabilità della vittima. Il concetto è molto generico. Prima si parlava della condotta di chi approfitta della condizione di inferiorità fisico-psichica della vittima: il caso tipico è quello dell’intossicazione da stupefacenti o dell’ubriachezza. Oggi la condotta è estesa anche all’abuso delle condizioni di particolare vulnerabilità della vittima: non è chiarissimo cosa ciò significhi al di fuori dei casi già previsti di condizioni di inferiorità fisico-psichica. Dal mio punto di vista bastava già l’idea della condizione di inferiorità fisico-psichica, perché è più precisamente circoscritta e nel nostro sistema penale la determinatezza, la precisione, la tassatività delle norme è un principio consacrato dalla Costituzione”.
Secondo Lei, perché è necessario modificare l’articolo 609 bis?
“È sicuramente necessario per dare un segnale culturale. La ragione per cui questa norma nel suo iter parlamentare ha incontrato un favore bipartisan è legata al fatto che in questo momento è aumentata la sensibilità rispetto alla violenza contro le donne. Ne è riprova l’introduzione della norma sul femminicidio. Quindi c’è sicuramente una rinnovata attenzione al tema, che in questo contesto specifico si traduce in una norma che vuole ricordare a tutti e a tutte l’importanza del consenso a qualsiasi atto sessuale. Più che un significato tecnico-giuridico, visto che la norma non risolverà – dobbiamo dirlo – i problemi della prova che continueranno a porsi in questi procedimenti, la riforma ha invece un importantissimo significato culturale”.