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Il live dei múm all’Hiroshima Mon Amour: la dolcezza ci salverà dalla catastrofe

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Vengono dalla terra del ghiaccio, ma loro musica è tutt’altro che fredda. Sono i múm, band islandese che dalla fine degli anni ’90 esplora l’elettronica folk e glitch creando scenari sognanti che però hanno sempre un tono dolceamaro. Come se la serenità arrivasse quando si accetta che all’orizzonte c’è una catastrofe imminente. Questa è l’atmosfera che si respira nella sera del 12 novembre all’Hiroshima Mon Amour, dove il gruppo si è esibito rilassando il pubblico, trasportandolo per un’ora e mezza in una terra altra.

I múm, la cui formazione è cambiata più volte nel corso del tempo, sono in cinque sul palco: Örvar Smárason e Gunnar Tynes, che sono due dei fondatori, e poi Sigurlaug Gísladóttir, Samuli Kosminen e Jeffrey Tyler Ludwick. Smárason e Gísladottir cantano, creando armonie fatate che nascono dall’incrocio delle loro voci.

A contare non sono le singole personalità o il loro vissuto. I membri della band sono in penombra, tra fumo e luci soffuse. Al centro di tutto, infatti, c’è la musica. Addirittura il nome della band non ha un significato. L’hanno scelto perché suonava bene alla pronuncia. Ma anche perché rappresenta una scena di affetto: le lettere così disposte sembrano due elefanti l’uno di fronte all’altro, che fanno toccare le loro proboscidi.

I múm piacciono a molti per la loro progettazione del suono, per il modo in cui nulla nei loro pezzi o live è lasciato al caso. Ci sono tanti dettagli, rumori, contorni, contributi, che non vengono lasciati in sottofondo, anzi trovano risalto. Come in una sessione di meditazione, la band invita a concentrarsi sulle piccole cose e sul valore che hanno, proprio per contrastare quella sensazione di catastrofe imminente che sempre aleggia nell’aria. E il loro concerto ha proprio quest’effetto, la creazione di uno spazio sicuro dove proteggersi dalla tempesta e dove rendersi conto che a contare, nella vita, è altro.

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