Una location, due giorni, otto artisti, una molteplicità di generi musicali. Questi i numeri del Monitor, tenutosi nel verde dello Spazio 211, giovedì 10 e venerdì 11 luglio. Il festival al suo esordio si è confermato all’altezza dell’interessante line-up presentata mesi fa.
Fiore all’occhiello della prima giornata, l’esibizione degli Shame. La band londinese ha portato il suo crudo abbraccio a un pubblico prontissimo ad accoglierlo. Nel rispetto dello spazio e della musica, i corpi si sono mossi forsennatamente sui pezzi della band. Il gruppo ha dato riprova del proprio atteggiamento rock: dal vivo rende molto di più che in studio (e il livello era già alto).
Il secondo giorno ha visto il contrasto produttivo di due set molto diversi tra loro. Da un lato, la musica da festa degli Yin Yin. La musica dal sapore del sud-est asiatico della band olandese ha trasportato i presenti in un momento di danza liberatoria, priva da ogni costrizione se non quella dei ritmi dance-funk, sostenuti magistralmente dal batterista Kees Berker, che con il suo assolo prima dell’encore ha stregato chiunque in un modo quasi spaziale, cosmico. L’ennesima prova del fatto che la musica suonata bene, quella soddisfacente da ascoltare, può essere anche divertente, leggera, sospesa.
Dall’altro, la chiusura del festival: il live sirenesco di Arooj Aftab, jazzista pakistano-statunitense. Il suo atteggiamento quasi menefreghista ha messo all’inizio in guardia il pubblico, che già dalle prime note intonate ha però capito che quel cambio di impostazione era necessario per essere improvvisamente catapultato da Torino a un jazz club newyorkese. La prossemica intimorente della cantante ha lasciato spazio a delle intonazioni che rendono vulnerabili, scoperti da ogni difesa. È stato impossibile distrarsi o ignorare quel canto.
Tanti quindi i punti alti di un festival, il Monitor, che accogliendo l’eredità del Todays mantiene la sua promessa: quella di un viaggio tra il mondo, l’Italia e Torino.