Nell’era delle piattaforme, i biglietti da visita digitali sono essenziali per ogni brand che vuole rimanere a galla. Nonostante in Italia gli investimenti in marketing e comunicazione siano ancora nettamente inferiori rispetto agli altri grandi Paesi europei, è un mercato in crescita e coinvolge anche il mondo della cultura. Ne abbiamo parlato con Salvatore Perri, ceo di Dunter, un’agenzia creativa digitale che si occupa di social media marketing, digital advertising, brand identity e molto altro, con un’attenzione particolare alle realtà culturali. Tra i loro progetti, i dunters hanno lavorato con la Reggia di Venaria, le Residenze Reali Sabaude, il Museo del Cinema di Torino, Apolide Festival – di cui Perri è stato anche il fondatore e il direttore artistico – e infine con la rivista Lucy Sulla Cultura, in un progetto attivo da oltre un anno. Inoltre, Dunter fa parte della rete Torino Social Impact, una piattaforma che riunisce oltre 380 attori pubblici e privati che fanno impresa d’impatto.
Dunter è nato nel 2010, come ha preso forma?
Siamo nati da un’altra idea di start up: Oozer, una piattaforma pensata per lo scambio di date live tra musicisti. Io arrivavo dal mondo dell’ufficio stampa e, nonostante fossi giovane, avevo già fatto esperienza in quel settore: ero in Casasonica, l’etichetta discografica dei Subsonica, ma anche per esempio di Afterhours, Baustelle e Niccolò Fabi. Il lancio aveva fatto un grande boato, con ottimi risultati di iscrizioni sulla piattaforma, ma non esisteva un vero modello di business. Alla fine Oozer non prese forma, ma ci mise nella condizione di capire che eravamo bravi a fare comunicazione digitale, così all’inizio del 2010 è nato Dunter.
Dunter offre un’offerta di servizi diversificata. Com’è strutturato il vostro team?
Siamo strutturati in unit dedicate: una per la produzione contenuti e di community management, una per la parte di design e motion graphics e un’altra si occupa di analisi strategiche, benchmark e analisi dei dati. Oggi le piattaforme sono di fatto dei media a pagamento, dove è possibile raggiungere target specifici andando a investire in maniera puntuale, quindi il nostro lavoro è cambiato: da agenzia di comunicazione digitale siamo diventati ormai da tempo un’agenzia di marketing digitale, che fa dell’approccio data driven il cuore di tutto l’assetto strategico.
Sul vostro sito scrivete che il progetto con la rivista Lucy Sulla Cultura “è la cosa più interessante che vi è capitata tra le mani negli ultimi anni”. Com’è nata questa collaborazione e cosa l’ha resa così stimolante?
Arriviamo tutti dal mondo della cultura. Da più di 20 anni organizziamo manifestazioni musicali, incontri, talk, quindi da sempre abbiamo un approccio divulgativo, però l’approfondimento era qualcosa che ancora ci mancava. Collaborare con Lucy è stato così interessante perché hanno del contenuto vero, forte, con un peso, ed è raro nel mondo digitale, dove la maggior parte è rumore. Lavoriamo con loro da più di un anno e si è formato un connubio molto forte. Per raggiungere buone performance online, si cerca di fare gli investimenti giusti, di abbassare il più possibile i costi, ma i risultati li fa il contenuto e più il contenuto è di valore più il nostro lavoro funziona. Ci sono una marea di lettori in Italia: la gente non vuole soltanto essere intrattenuta.
Lucy fa informazione, mentre voi comunicazione digitale e marketing. Come conciliate questi due approcci?
Viaggiano in parallelo e si supportano l’una con l’altra in una bella stretta di mano. Noi di Dunter non ci occupiamo della parte editoriale: è scritta da Lucy fino all’ultimo punto dell’ultimo post dell’ultimo articolo e dell’ultima newsletter. Noi ci occupiamo di strategia, analisi dei dati e di tutto quello che sta dietro, ma non potrei mai scrivere: non sono Nicola Lagioia e neanche Telmo Pievani.
Comunicare l’arte ha delle peculiarità?
Sì, bisogna studiare in modo più approfondito. Se devo comunicare il concerto dei Wilco oppure l’ultima mostra alla Reggia di Venaria, non posso usare un approccio pubblicitario, ma devo studiare. Io stesso ho organizzato per 22 anni il festival Apolide e per scriverne servono delle persone che hanno un know-how di un certo tipo, per riuscire a immedesimarsi in un tono di voce corretto per quel tipo di contesto.
Vi state espandendo anche nell’universo dell’AI. Come ha cambiato il vostro approccio di agenzia creativa e digitale?
La consapevolezza dello strumento ci ha portato a riconoscerne l’utilità, se usato in maniera etica e corretta. I tool di AI hanno accelerato tutta una serie di operazioni e da più di due anni facciamo sessioni plenarie con i dipendenti per una formazione condivisa. Da lì in poi abbiamo usato l’AI anche per delle campagne creative, come l’esperimento AI che ritmo! per la community social di Acqua Sant’Anna, in occasione del festival di Sanremo 2024.