La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

“Al femminismo del 2025 manca l’autocoscienza”: problemi e prospettive del movimento mainstream

condividi

“Nel femminismo mainstream mancano le pratiche politiche e le esperienze concrete” su questo sono d’accordo Tamar Pitch e Giulia Siviero, due femministe, per ammissione propria, appartenenti a generazioni e ondate della lotta differenti. Una militanza iniziata negli anni Settanta per la prima – giurista – a partire dal movimento studentesco e, racconta, da un’assemblea alla facoltà di lettere occupata di Firenze durante la quale una ragazza è stata interrotta al grido di “basta con questi interventi uterini”. Un percorso scaturito sentendo una professoressa universitaria usare il femminile sovraesteso per la seconda, giornalista.

“Certo, la diffusione del femminismo è positiva, ma la sua trasformazione in una ideologia mainstream comporta dei problemi: c’è un sentirsi femministe che è ormai comune ma che non esce dai social, e che usa parole che sono rimasticamento di slogan vecchi, senza incarnarli, attraversarli, discuterli insieme alle altre donne”, spiega Siviero. E il problema, propone Pitch, nasce dall’assenza della pratica dell’autocoscienza “tramite la quale si creava qualche cosa che andava oltre la relazione amicale, un rapporto politico, l’esperienza di portare il proprio vissuto in uno spazio condiviso”. “La questione – riassume la moderatrice dell’evento, parte dell’offerta di Biennale Democrazia, Valeria Verdolini – è che il personale non è più politico, mentre il politico è diventato personale.”

Sulla questione dell’intersezionalità, invece, c’è più dibattito: “Le oppressioni non vanno lette come qualche cosa di astratto, non colpiscono tutte e tutti allo stesso modo, non hanno le stesse conseguenze su una donna bianca italiana di classe media e su una persona migrante senza documenti, ed è importante allearsi anche con quelle soggettività che non sono donne ma subiscono oppressioni che hanno la stessa matrice di quelle che schiacciano le donne”, afferma Siviero, ma Pitch ribatte “a me il termine intersezionalità non piace, è vero che negli anni Settanta eravamo prevalentemente donne bianche, ma eravamo attraversate da differenze di classe, molte di noi erano meridionali, conoscevamo l’esperienza statunitense e i testi delle femministe nere, ma non usavamo questo termine, che ora mi sembra che abbia a che fare con la frammentazione e comporti una moltiplicazione delle sigle e una moltiplicazione delle sfighe in modo orizzontale. Il mio femminismo, e continuo a rivendicarlo, è anti identitario: donna è un significante vuoto, non è sostanza, io non mi voglio identificare, voglio poter continuare, insieme alle altre e agli altri, a cambiare.” Siviero, però, precisa “è vero, la frammentazione delle identità e il dirittismo, la ricerca costante di diritti istituzionali, è problematica, ma l’intersezionalità non frammenta le identità, crea alleanze, agisce in modo opposto”.

Sulle prospettive d’azione, però, torna la sintonia: contrarietà a un femminismo punitivo “che chiede che vengano istituiti nuovi reati, come quello di femminicidio, che è un regalo a costo zero ma che non risolve il problema e, per come è stata scritta la legge, rischia di escludere le donne trans”, per Pitch, e parallelamente al chiedere l’istituzionalizzazione dei diritti e delle pratiche per Siviero “chiedere l’educazione sessuale nelle scuole ora è inappropriato, perché un’educazione sessuale formulata da questo governo sarebbe dannosa, io le mie figlie non le manderei a sentire queste lezioni. Uno strumento efficace, invece è tornare all’autogestione: dell’aborto ma anche della formazione delle nuove generazioni alla sessualità e all’affettività. E poi bisogna imparare dalle destra a sfruttare il diritto a nostro vantaggio: se vengono finanziati fondi ai pro vita allora organizziamoci affinché le donne incinte vadano in massa a reclamare gli aiuti, siamo creative, svuotiamo questi tentativi di repressione dall’interno”.

Articoli Correlati