I componenti dei Godspeed you! black emperor entrano poco alla volta sul palco, come se non gli importasse del pubblico che riempie la sala Fucine delle Ogr – un capannone industrial ma raffinato che sembra nato apposta per ospitare il gruppo post-rock.
Partono solo violino e contrabbasso, iniziano a suonare “Hope Drone”, che in realtà è il titolo non di un pezzo, ma dell’improvvisazione con cui il gruppo apre ognuno dei suoi live. Piano piano si aggiungono tutti gli altri strumenti. Siede sulla sinistra della scena, con la sua chitarra, il fondatore del gruppo, Efrim Menock. Alla fine, sul palco, ci sono otto elementi.
E 8 sono anche i pezzi che compongono la scaletta. Sembrano pochi, ma in realtà il concerto dura quasi due ore. Infatti, chi già conosce la band canadese lo saprà, i brani dei Gy!be non sono mai brevi o facilmente accessibili. Sono lunghi racconti strumentali fatti per immergersi in una specie di muro di suono. È così anche per il live dell’8 marzo, che appunto rende protagonista la musica.
La band si vede poco, illuminata solo dalle deboli luci dei cortometraggi in pellicola da 35 o 16 millimetri che fanno da sfondo alla scena con strade desolate, foreste e volti poco riconoscibili, spesso in bianco e nero. È come se ci fossero due spettacoli in contemporanea, quello musicale del gruppo e quello filmico messo in atto dal proiezionista.
Il risultato è un crescendo costante, sia per i singoli brani che nel complesso. Il pubblico sembra completamente perso in un mondo a parte. In molti sono seduti, in moltissimi piangono, anche insospettabili persone adulte, all’apparenza tutte d’un pezzo.
Non servono vocals o testi per comunicare il messaggio della band, bastano i suoni delle chitarre, le distorsioni che mettono a disagio, ma con l’intento di accompagnare a una catarsi collettiva. Il punto che vogliono rimarcare i Godspeed You! Black Emperor è chiaro ed è estremamente politico. Basta guardare al titolo dell’ultimo disco, uscito l’anno scorso, No title as of 13 February 2024 28, 340 dead, che fa riferimento alle morte subite dai palestinesi nel contesto della guerra con Israele al momento del completamento dell’album. Il gruppo vuole denunciare la realtà di un mondo cupo, fatto di ingiustizie e di oppressioni di potere (Efrim Menock si è dichiaratamente esposto come anarchico).
Ma quella che sembra una narrativa da apocalisse e da fine del mondo, viene trasformata attraverso il concerto in una forte voce di contrasto e di sostegno reciproco. Come solo la musica sa fare.