“Chi nasce a Torino per noi è torinese. Chi nasce in Italia è italiano”. Queste le parole di Maria Grazia Grippo, presidente del Consiglio comunale durante la giornata conclusiva di “Torinesi dalla nascita”, il progetto organizzato dalla Circoscrizione 7 in collaborazione con Unicef Torino mirato alla promozione dei principi dello Ius soli e dello Ius scholae.
Torino ha una posizione chiara in merito ai concetti di Ius soli e Ius scholae. “Se dipendesse da noi, sarebbe già così. Ma è una scelta che deve maturare in Parlamento, a Roma. Noi però ci crediamo talmente tanto da averla scritta nella nostra carta fondamentale. Abbiamo inserito lo Ius soli e lo Ius scholae nello Statuto della città perché fosse evidente come la pensa Torino”, ha proseguito la presidente. A fianco delle istituzioni, il rapper Milo, nome d’arte di Ivan Kapalala, classe ’90, che con le sue canzoni ha raccontato l’esperienza che ha vissuto sulla sua pelle, coinvolgendo e riuscendo a capire e a farsi capire dagli studenti.
Oggi, venerdì 31 maggio, alla Casa del quartiere del Cecchi Point, si sono riunite le classi delle scuole Regio Parco, Torino II e Ilaria Alpi che hanno partecipato al progetto. In tutto 8 classi e 160 studenti. “Con questa iniziativa speriamo che il mondo politico capisca che considerare non italiani questi ragazzi è un errore storico, politico, sociale ed economico. Speriamo che il Parlamento possa cambiare questa norma. Dobbiamo cominciare dal basso a fare pressione. I diritti molto spesso si conquistano combattendo, ovviamente in maniera tranquilla e pacifica, ma combattendo”, ha commentato Luca Deri, presidente della Circoscrizione 7.
“Sono state tre le scoperte che mi hanno portato a sentirmi italiano –, ha spiegato Khaled Gueddim, dell’associazione Acmos (Aggregazione, coscientizzazione, movimentazione sociale) –. Scegliere di essere italiani non vuol dire rifiutare le proprie origini. Poi ho capito la differenza tra nazionalità e religione: posso essere italiano e musulmano allo stesso tempo. Infine, è stato importante rendermi conto di avere un ruolo nel posto in cui mi trovo”. Khaled Gueddim, 22 anni, studente di Lettere moderne all’Università di Torino, evidenzia un’altra problematica che riguarda i ragazzi di origine straniera: molti non si definiscono italiani perché non hanno ancora ottenuto la cittadinanza. “È importante avere qualcosa che ti riconosca formalmente. Serve a poco sentirsi italiano, se poi non lo si può affermare davanti a un’istituzione. Manzoni, alla fine de I Promessi Sposi, scrive che la patria è dove si sta bene. Questo è un concetto fondamentale. Non abbiamo solo il diritto di essere italiani, ma anche la responsabilità di far sentire a casa chi abbiamo intorno. Se ci troviamo bene in contesto, tutto il resto – il luogo di nascita, la scuola, il lavoro – viene dopo”, conclude Gueddim.
“Il ruolo delle istituzioni nella formazione di un’identità può essere decisivo. Anche in assenza della formalizzazione della cittadinanza, istituzioni che siano inclusive e trasmettano l’idea che tutte persone sono trattare nello stesso modo e sono uguali nei diritti possono fare la differenza e rendere cittadine anche le persone che formalmente non lo sono ancora”, ha spiegato Jacopo Rosatelli, assessore al welfare, diritti e pari opportunità.
E anche le scuole, in questo senso, giocano un ruolo chiave nell’affermazione di un’identità, soprattutto nel momento in cui si parla di ragazzi e ragazze di un’età delicata come può essere quella della preadolescenza e dell’adolescenza. “I nostri alunni vengono a scuola e conoscono compagni e compagne di provenienze, religioni e lingue diverse. Crediamo che questo sia un laboratorio straordinario per prepararsi a diventare cittadini – ha commentato Massimo Cellerino, dirigente dell’istituto Torino II –. L’idea dello ius scholae pone alle scuole un compito ulteriore: ci mette nella condizione di fare e di dover fare meglio, se l’idea è che si dovrebbe diventare cittadini italiani attraverso la scuola”.