Dalle valli valdesi ai confini del mondo e viceversa. Da prima che il “glocal” diventasse un trend, sulle frequenze radio del Piemonte degli anni ’80 qualcuno tentava questo esperimento: Radio Beckwith Evangelica. Fondata nel 1984 da parte di ragazzi e ragazze della Chiesa valdese, sin da subito venne affrontata la sfida forse più ardua nell’area della Val Pellice: quella della comunicazione. Radio Beckwith (Rbe) infatti è una radio autonoma, non di tipo confessionale, che trasmette da 40 anni e che innova costantemente il suo apparato e i suoi obiettivi. Il nome è in onore di un ufficiale inglese che costruì scuole in tutte le borgate delle valli valdesi e pose il primo mattone di un ponte con il mondo.
L’idea iniziale cambia negli anni 2000. Si struttura in una redazione composta da tecnici e giornalisti che sviluppano ulteriormente il progetto da un punto di vista tecnico ed editoriale. È nel 2006 che Matteo Scali, oggi cuore di Rbe, arriva in radio e inizia a differenziare i compiti in redazione. A quasi 20 anni di distanza lo scopo per lui è ancora lo stesso: mantenere la natura di radio comunitaria e sviluppare ulteriormente il legame con il territorio.
“Per questi 40 anni festeggiamo la storia e le persone con cui noi entriamo in contatto. Siamo una realtà che nonostante il Covid è in crescita complessiva per le cose che fa e il numero di persone nuove che raggiunge. Un progetto che arriva da una valle e si fa conoscere anche in territori lontani, suscitando partecipazione attraverso i nostri lavori. Per noi non è fondamentale il mezzo, che sia una trasmissione radio o una tv o ancora un incontro o un laboratorio. Ciò che conta è costruire e definire con solidità la comunità che sta intorno a noi e di cui cerchiamo di decifrare gusti e interessi”.
Nel 2022 viene lanciata Rbe Tv, nata da un lungo ragionamento sui cambiamenti che hanno investito il mondo dei media. Un’idea che era stata in cantiere per 10 anni e che non è arrivata come risposta alla sfida digitale. Radio Beckwith non insegue linguaggi e strumenti del momento. Per Matteo il mantenimento di un’identità che coniughi il territorio all’interno dei format è sempre stata l’unica cosa che contava.
“Ci siamo presi i nostri tempi, senza sentire la necessità di adattarci alla moda e rincorrere il cambiamento. Abbiamo lanciato la Tv per dimostrare una presenza ancora più concreta tra le persone. Questa decisione è scaturita durante il lockdown. Abbiamo collaborato con 14 istituti scolastici torinesi che avevano difficoltà a raggiungere i ragazzi. Insieme agli insegnanti abbiamo costruito oltre 2 ore di programmazione con letture o compiti per i ragazzi che ascoltavano e partecipavano. La radio arrivava più facilmente in contesti dove la rete internet non era adeguata o non c’erano strumenti in famiglia per seguire la didattica a distanza. Questo intervento ci ha fatto ragionare rispetto al ruolo di media di comunità, su come dovesse e potesse evolversi e attraverso quali canali. Abbiamo ripensato cosa sono le comunità sul territorio e che vuol dire esserlo”.
Il locale come punto di vista per capire il mondo
Interfacciarsi a un contesto troppo piccolo può diventare un vincolo se diventa l’unico punto di osservazione. Al contempo raccontare eventi troppo lontani potrebbe non incrociare l’interesse dei lettori. Giornali ed emittenti spesso gestiscono semplicemente le due dimensioni in maniera separata, arrivando alla notizia da due strade diverse. Il “glocal” rappresenta la scorciatoia in mezzo che non sintetizza le due visioni in un unico discorso, bensì ne raccoglie le similitudini e spiega il mondo attraverso l’occhio del locale e viceversa. Un concetto difficile, ma fondamentale per Matteo e Rbe.
“Se il locale diventa un’etichetta è un problema, se invece diventa una delle prospettive di analisi permette una narrazione più ampia. Per noi locale e globale sono due modi di vedere processi differenti, ciò che conta è che ci sia un dialogo tra i due contesti. È importante che non ci si rifugi in micro narrazioni identitarie o iper-localistiche, ma che queste siano inserite anche in processi globali. Noi abbiamo avuto per lungo tempo una trasmissione che parlava di Cina e di questioni economiche o geopolitiche. Era assolutamente normale parlare di fenomeni globali e capire come si articolano sui processi locali. Quest’incrocio ha la stessa valenza per una persona che abita in una valle o una che vive in città, perché anche le questioni più ampie possano avere un impatto sulla vita. Rbe inoltre ha la fortuna di essere all’interno di Popolare network e questo ci permette di avere uno sguardo più ampio e globale su tutto”.
Insomma, un linguaggio “rbe” dalle radici britanniche, il cuore legato al territorio e lo sguardo che osserva attentamente l’esterno. La propensione alla sfida e all’affrontarla non di pari passo ai trend, ma in base alle proprie possibilità. Matteo definisce tutto questo un “puzzle” non semplice da gestire, ma che attraverso la radio in questi 40 anni ha trovato una declinazione che funziona.
“Noi per questo anniversario abbiamo detto che la radio è sia singolare che plurale. Per noi vuol dire che il palinsesto ha un suo pensiero, ha un suo fil rouge, ma ha prospettive diverse e parla di mondi diversi. Il nostro è un linguaggio che possiamo definire multiplo perché mischia i vari canali creando un “melting pot” della comunicazione. Cerchiamo anche di essere uno strumento che accompagna le persone nella vita quotidiana. Una cosa non semplice perché non si ha mai idea di chi ti ascolta in radio e dunque si deve articolare un discorso comprensibile per persone diverse. Un’altra sfida che sentiamo è preservare il nostro sguardo da margini geografici e ideali. Continuiamo a trasmettere dalla provincia verso la città anche per mantenere uno sguardo decentrato nel quale il centro non diventa la nostra unica visione, ma è uno dei possibili luoghi da raccontare. Guardare da altri punti di vista è sempre un buon esercizio. La scelta di avere una redazione di una ventina di persona che lavora a lucerna e poi si sposta sul territorio è pensata e perfettamente in linea con la natura di Radio Beckwith”.