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“I Cinque Punti” del Ferrante Aporti e la scuola negli Ipm

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Gli Ipm – istituti penali minorili – in Italia stanno attraversando un momento particolare. Le problematiche legate all’adolescenza, come il rifiuto dell’autorità degli adulti, continuano a presentarsi come in passato, ma la popolazione di queste carceri minorili è cambiata radicalmente negli ultimi anni. Oggi, una grandissima maggioranza dei ragazzi dentro gli Ipm sono di origine straniera o anche minori stranieri non accompagnati, che presentano condizioni finora non affrontate, come la mancanza di una famiglia all’esterno dell’istituto. Inoltre sono sempre più presenti l’uso di sostanze illegali e l’abuso di farmaci. E questa è anche – in buona parte – la condizione dell’Ipm di Torino, il Ferrante Aporti, raccontato all’interno del cortometraggio I Cinque Punti, attorno a cui si è sviluppato l’ultimo dei tre incontri organizzati da Ylenia Serra (Garante per l’infanzia e l’adolescenza della regione Piemonte), Bruno Mellano (Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Piemonte) e Monica Cristina Gallo (Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino).

Il girato, attraverso le immagini e il commento in lingua araba, racconta il viaggio di una madre verso il primo colloquio con il figlio detenuto all’interno di un Ipm. La realizzazione è stata portata avanti con il progetto Fuori del Cpia 3 “Tullio de Mauro” (Centro provinciale per l’istruzione degli adulti) che coinvolge gli studenti e le studentesse del Ferrante Aporti in laboratori sulla comunicazione audiovisiva. Il docente del Cpia Riccardo Sarà racconta che nell’ambito del progetto Fuori l’incontro tra gli studenti del centro e quelli del Ferrante Aporti è stato “sconvolgente” perché ha modificato la percezione dei ragazzi che stanno “dentro” da parte degli altri.

Al Cpia 3 è stata anche dirottata la sede scolastica del carcere minorile e vengono portati avanti principalmente percorsi di alfabetizzazione, proprio perché la maggior parte dei ragazzi è straniera, ma anche per il fatto che i tempi di permanenza nell’Ipm sono minori rispetto a quelli del carcere per adulti e fortemente orientati alla funzione rieducativa. In questo la scuola può avere un ruolo molto importante. “Riflettere sulla scuola in carcere significa capire qual è l’essenza della scuola, che sta perdendo la sua essenza in mille fronzoli e burocrazie. L’insegnante è un adulto educatore che deve fornire chiavi culturali ai ragazzi per poter essere liberi e poter abbandonare il carcere”, dice Domenico Chiesa, presidente del Forum regionale per l’educazione e la scuola del Piemonte. I ragazzi del carcere rimangono però sempre adolescenti e quindi gli adulti non devono imporsi, secondo la vicedirettrice dell’Ipm Gabriella Pirro, ma far capire “che ci sei come adulto e nel tuo ruolo […] ma deve poter approfittare lui dell’opportunità di avere un esempio”.

Serve quindi lavorare su chi incontra i ragazzi, conclude il sociologo ed ex giudice onorario del Tribunale dei minori Franco Prina. Le persone che interagiscono sono fondamentali. Bisogna “investire e mettere in condizione questi ragazzi di superare barriere: linguistiche, culturali, barriere di mancanza di fiducia negli adulti, perché tutti quelli che ho incontrato nella mia vita mi hanno trattato male. Bisogna che le persone e gli operatori dell’istituto siano numericamente adeguati. Bisogna investire nelle professionalità coinvolte, che devono essere plurime, e nelle competenze, in particolare quelle della mediazione culturale. Bisogna curare la formazione […] e bisogna inventarsi, sia negli Ipm sia nelle comunità, nuovi strumenti, nuove attività, metodologie innovative per prevenire e per costruire la fiducia dei ragazzi, indispensabile per qualsiasi tipo di progettualità che sia condivisa. Facendo percepire a tutti che questi ragazzi, pur così in difficoltà, hanno diritto a un futuro diverso”.

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