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Il Giorno del Ricordo, oltre le divisioni

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“Il Giorno del Ricordo non deve essere una crocetta che dobbiamo spuntare nel calendario degli appuntamenti istituzionali, ma un’occasione per mettere dei semi positivi di dialogo, superando le divisioni”. Dario Prodan, membro del consiglio direttivo del Comitato di Torino dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia spiega così il senso del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale. Una celebrazione talvolta oggetto di strumentalizzazione, ma che vuole ricordare le sofferenze di tante comunità, travolte dalle drammatiche conseguenze del Secondo conflitto mondiale. “Le vicende della frontiera adriatico-orientale sono state un laboratorio della contemporaneità”.

Una storia che ha segnato un’epoca dai tempi della romanizzazione

Il 10 febbraio 1947 fu siglato il trattato di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate, che chiedeva all’Italia di “restituire” alla Jugoslavia l’Istria, con le città di Fiume e Zara e le isole di Cherso e Lussino. Prevedeva poi il diritto da parte jugoslava di requisire tutti i beni dei cittadini italiani, che da secoli vivevano in quelle zone. Ma il trattato di Parigi non era che l’ennesimo schiaffo per le popolazioni di lingua italica.

“All’indomani dell’8 settembre ’43 le popolazioni istriane, fiumane e dalmati subirono le prime rappresaglie e persecuzioni ivi compresi gli infoibamenti dell’Ozna (la polizia politica segreta jugoslava) nell’ambito delle politiche di espansione e annessione dell’esercito titino”, racconta Prodan. In un quadro complesso, come quello balcanico. Era il caos: “Guerra di liberazione contro gli occupatori; guerra civile fra ustašcia croati, četnizi serbi, domobranzi sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria per la creazione di uno stato socialista, feroci repressioni antipartigiane; sterminio degli ebrei, tentativi genocidari ai danni di popolazioni dell’etnia sbagliata”.

Giovane esule italiana espropriata e cacciata diretta verso il Venezia Giulia trasporta, insieme ai propri effetti personali, un tricolore italiano (Fonte: Wikipedia)

“Per foibe intendiamo stragi commesse dall’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia , avvenute in due momenti: uno nell’autunno del ’43 e l’altro nella primavera-estate del ’45 – spiega lo storico Raoul Pupo, già professore di Storia contemporanea all’Università di Trieste –. Nel primo le vittime, circa 500, erano gli esponenti del potere italiano. Il secondo si inquadra invece in una serie di violenze diffuse su tutto il territorio jugoslavo, che solo nella Slovenia provocarono circa 100mila morti. Le vittime erano i presunti nemici del popolo, persone sospettate di essere contrarie al movimento partigiano”. Secondo lo storico non c’è un nesso di causa-effetto tra i massacri e il successivo esodo: “L’allontanamento forzato del gruppo nazionale italiano autoctono dai suoi territori di insediamento storico fu una conseguenza diretta delle politiche delle autorità jugoslave che crearono situazioni di invivibilità”. Gli italiani iniziarono a sentirsi stranieri in patria. “Questo fenomeno, molto più delle foibe, ha cambiato completamente il panorama di tutta l’area alto adriatica: la scomparsa della componente italiana è stata la principale rottura storica della zona dai tempi della romanizzazione. Questa purtroppo è stata una svolta periodizzante”, continua Pupo. Ma lo storico avverte: “Il Giorno del Ricordo riguarda l’intera comunità italiana, perché le vittime appartenevano alla comunità italiana, con gli orientamenti politici più diversi. È molto pericoloso l’uso politico, distorsivo, cioè usare quella tragedia come storia di una parte contro un’altra”.

Il piroscafo Toscana imbarca profughi a Pola (Fonte: Wikipedia)

Una comunità a Torino

Fin dal febbraio del 1947, data alla quale risalgono i primi consistenti arrivi in città, gli esuli giuliani poterono godere dell’aiuto, dell’appoggio e della solidarietà di gran parte della popolazione e delle istituzioni torinesi che, fin da subito, attuarono iniziative assistenziali concrete. “La città di Torino diventò una delle città che accoglie maggiormente e lo fa anche bene – prosegue Dario Prodan –, anche se le prime soluzioni abitative furono baraccamenti in corso Polonia e casermette in Borgata san Paolo”. Solo nel 1953 si sarebbe arrivati alla costruzione del Villaggio di Santa Caterina.

Il Comitato di Torino, attivo già da allora, non si è limitato a diffondere la storia, ma ha lavorato per preservare la cultura della comunità. “Chi vuole avvicinarsi a queste tematiche lo può fare attraverso una serie di appuntamenti che non si esauriscono al 10 di febbraio”.

Ancora oggi la città rende omaggio a una parte della sua storia. La Città di Torino ha celebrato questo pomeriggio il Giorno del Ricordo. Nel corso della cerimonia istituzionale nella sala del Consiglio comunale si sono susseguiti gli interventi del vicepresidente del Consiglio comunale Domenico Garcea, dell’assessore regionale Maurizio Marrone, del prefetto Donato Giovanni Cafagna, del presidente del Comitato Resistenza e Costituzione e vicepresidente del Consiglio regionale Daniele Valle, della consigliera del Comitato di Torino dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Giulia Cnapich. L’orazione ufficiale è stata affidata al direttore del Centro Pannunzio Pier Franco Quaglieni, per poi lasciare spazio all’intervento conclusivo del sindaco Stefano Lo Russo. Al termine della commemorazione sono state consegnate le onorificenze concesse con decreto del presidente della Repubblica in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo dei cittadini italiani dall’Istria da Fiume e dalla Dalmazia, delle vicende del confine orientale italiano. Diploma e medaglia sono stati consegnati ad Antonia e Silvana Bensa, in memoria del padre Michele. Nato a Gorizia il 31 marzo 1878, capostazione delle Ferrovie dello Stato, Michele Bensa fu catturato da partigiani slavi a San Pietro in Selve il 4 maggio 1945 e di lui non si seppe più nulla.

La consegna di Diploma e medaglia ad Antonia e Silvana Bensa, in memoria del padre Michele

Non sono mancate le polemiche: Alice Ravinale, capogruppo al Comune di Torino per Sinistra Ecologista, ha espresso indignazione per la “messa alla gogna” dello storico Eric Gobetti, da parte dell’assessore di Fratelli d’Italia Marrone: “La memoria di quei fatti è doverosa, ma è indecoroso che la destra continui a strumentalizzare la vicenda della comunità degli esuli, che certo non si meritano di vedere la loro tragica storia ridotta a strumento di becera propaganda”, ha detto Ravinale.

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