“Stanno applicando un foglio di via usato per chi commette crimini, per i mafiosi, giustificandolo con reati passati per fatti che non sussistevano”. La voce di Gian denuncia quanto sta accadendo dallo scorso autunno agli attivisti di Extinction Rebellion che, come lui, si sono visti recapitare provvedimenti amministrativi in seguito alle azioni non violente messe in atto in tante città d’Italia, da Venezia a Torino. Dopo la protesta di XR all’Oval Lingotto dello scorso novembre, i manifestanti hanno raccontato di essere stati trattenuti per sei ore in questura ricevendo poi il foglio di via: “Siamo arrivati al punto in cui si può manifestare solo nelle città in cui si è residenti altrimenti questi sono i provvedimenti – dice un’altra attivista -. Quattro persone sono state bandite da Torino per aver appeso uno striscione, penso sia una cosa estremamente esagerata”.
Racconti come questi si inseriscono nell’ambito di un trend che, nell’ultimo mese, conta un centinaio di fogli di via e avvisi orali notificati agli attivisti di Extinction Rebellion, che denunciano una “criminalizzazione del dissenso pacifico che colpisce il diritto a manifestare sancito dalla Costituzione”. Su queste basi, il collettivo ha organizzato nella mattinata di mercoledì 17 gennaio una conferenza stampa davanti Palazzo di Città per riflettere sul diritto di manifestazione a Torino e in Italia, alla quale hanno preso parte gli avvocati Gianluca Vitale e Roberto Capra, l’ex magistrato Livio Pepino, la docente di Diritto Costituzionale Alessandra Algostino e il presidente del comitato Torino Respira, Roberto Mezzalama.
Codice antimafia contro i manifestanti
Il nodo della questione riguarda la natura giuridica delle misure imposte ai manifestanti, introdotte nel 2011 con il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, meglio noto col nome di codice antimafia. Come spiega l’avvocato Roberto Capra, “fogli di via e avvisi orali sono provvedimenti amministrativi di esclusiva competenza del Questore, attuabili in autonomia senza la necessità di una valutazione da parte di un magistrato”. Ricevere tali misure, nate e strutturate per contrastare la criminalità organizzata, significa venire allontanati da un determinato luogo e costituisce, secondo Extinction Rebellion, un “restringimento degli spazi di manifestazione”.
Fogli di via, una misura “incongrua”
Nell’ambito di una crisi climatica che va di pari passo con l’inquinamento atmosferico, “da anni i movimenti per il clima portano avanti le loro manifestazioni in modo pacifico e non violento, utilizzando i loro corpi e la loro intelligenza per portare un messaggio di urgenza a quante più persone possibili” ha dichiarato Roberto Mezzalama. Per sua stessa natura, inoltre, la protesta per l’ambiente esula dal luogo fisico in cui viene messa in atto perciò “una misura come il foglio di via si dimostra del tutto incongrua, anzi appare nient’altro che una punizione”, attacca l’ex magistrato Livio Pepino. Il ricordo va poi alle contestazioni contro la ministra Roccella di alcuni attivisti di XR durante il Salone del Libro dello scorso maggio: “anche in quel caso si trattò di una contestazione assolutamente libera e pacifica che è stata sostanzialmente repressa con un procedimento penale”.
I rischi per il diritto di riunione
L’avvocato Gianluca Vitale sottolinea la sproporzione dell’utilizzo di queste misure di prevenzione se correlate alla rilevanza dei fatti commessi dai manifestanti: “Ormai in tutta Italia ogni volta che viene condotta un’azione di sensibilizzazione su temi ambientali la polizia non solo interviene immediatamente per impedirla o interromperla, ma identifica e denuncia tutte le persone presenti; anche con ipotesi di reato fantasiose ed infondate, tanto che a volte è la stessa magistratura inquirente a riconoscere l’infondatezza delle denunce”. A essere messo in discussione sembra essere dunque non tanto il tipo di azione condotta ma, ancor prima, il diritto di riunione, che come sottolineato dalla professoressa Alessandra Algostino risulta “fondamentale in una democrazia poiché esprime le istanze di partecipazione e pluralismo che ne costruiscono il fondamento e la struttura portante”.
Processo o deterrenza?
Notificare avvisi orali e fogli di via, dunque, sembra costituire il “fine occulto di incutere timore”: proseguendo il suo ragionamento, Vitale cita la convenzione di Aarhus che incentiva la partecipazione pubblica relativamente alle politiche ambientali e sottolinea come queste l’attuazione di queste misure richiami il fenomeno delle slapp (strategic lawsuit agains public partecipation), ovvero querele e altre azioni legali strategiche di natura intimidatoria finalizzate, in casi come questi, a prevenire le proteste. “Credo che la risposta giuridica debba essere un utilizzo diverso di queste misure – conclude l’avvocato -. Senza un fine intimidatorio, piuttosto vanno ricondotte a quanto affermato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo che ha dichiarato le proteste per questioni ambientali legittime e coperte dal diritto di espressione del pensiero e di riunione”.