Sono passati 101 anni da quel terribile 18 dicembre, che oggi i torinesi ricordano perché a quella data è dedicata una grande piazza in città. Ma cosa è stata la strage di Torino?
La notte tra il 17 e il 18 dicembre 1922 segna uno spartiacque decisivo nella storia di Torino, la cui identità di città operaia fino a quel momento aveva resistito quasi indenne all’ascesa del fascismo dopo la marcia su Roma. Appena un mese e mezzo prima, infatti, la mobilitazione delle milizie fasciste giunte da tutta Italia nella Capitale avevano spinto re Vittorio Emanuele III ad affidare l’incarico di formare un nuovo governo proprio al leader delle camicie nere, Benito Mussolini.
In Italia si respirava un clima politico e sociale inedito. La fine della Grande Guerra aveva riconsegnato al Paese migliaia di reduci il cui reinserimento nella società si rivelò più difficile del previsto. Il passo verso il cosiddetto biennio rosso del 1919-1920 fu breve: le rivendicazioni operaie in poco tempo si espansero qua e là in diverse province, ma vennero controbilanciate da un’escalation di violenza messa in atto dalle squadre d’azione fasciste, sostenute da agrari e industriali sempre più preoccupati delle rivendicazioni socialiste e comuniste. I fasci di tutta Italia, dopo inizi non facili, si erano riorganizzati e con l’ondata del 1921-1922 avevano ribaltato i rapporti di forze in diverse province.
La resistenza di Torino all’avvento del fascismo
In questo clima così turbolento, Torino costituiva uno dei principali poli dell’industria italiana e, di conseguenza, del proletariato urbano: lo spirito d’appartenenza della classe operaia era fortemente radicato in città, tanto da rendere molto complicato al fascismo riuscire ad attecchire nel tessuto sociale torinese. Il leit motiv delle squadre d’azione, diramazione ufficiosa del potere nero su scala locale, era l’uso indiscriminato della violenza per punire gli avversari politici: con l’approssimarsi delle elezioni del maggio 1921, la prima che consentì ai fascisti di sedere in Parlamento, a Torino venne incendiata la Camera del Lavoro e furono assaltate la sede dell’Ordine Nuovo, giornale fondato da Antonio Gramsci, e la Casa del Popolo in Barriera di Milano.
La determinazione con cui il movimento operaio resistette alle intimidazioni si unì alla frustrazione del fascismo torinese per una politica che, in quel momento, si manteneva tendenzialmente moderata. Non era ancora nata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (1923) che de facto istituzionalizzò la violenza delle squadre d’azione. Gli avvenimenti della notte tra 17 e 18 dicembre 1922, tuttavia, finirono per dare il decisivo la a un’esplosione di violenza evidentemente agognata dal fascismo torinese guidato dal 29enne Pieto Brandimarte, tenente dei bersaglieri reduce dalla Prima Guerra Mondiale.
18 dicembre 1922: la Strage di Torino
Barriera di Nizza, intersezione con corso Spezia: una sparatoria provoca il ferimento di quattro persone, due delle quali muoiono poco dopo. A perdere la vita due militanti fascisti, il ferroviere Giuseppe Dresda e lo studente Lucio Bazzani, che avevano aggredito il comunista Francesco Prato il quale, nel tentativo di difendersi, aveva esploso alcuni colpi di pistola riuscendo poi a dileguarsi. Di Prato si persero le tracce, si sa solo che venne fatto espatriare in Unione Sovietiva grazie alla complicità di alcuni sodali. Le morti di Dresda e Bazzani, invece, furono il pretesto per una violentissima reazione delle squadre fasciste guidate da Brandimarte, che si ritiene poté svolgersi senza troppe complicazioni grazie al sostanziale via libera della prefettura, dietro l’insistenza degli industriali torinesi.
Una punizione severissima per una città che mostrava di non volersi piegare ai fascisti, in possesso di un elenco di quasi tremila “sovversivi”: alla fine delle violenze si contarono 26 feriti e 11 morti, compreso il consigliere comunale del Pci, Carlo Berruti, e il segretario torinese della Fiom, Pietro Ferrero, il cui cadavere legato a un camion e trascinato lungo tutto corso Vittorio Emanuele richiamò il supplizio di Ettore narrato da Omero. A finire vittima della violenza fascista furono però anche militanti operai e cittadini meno noti: Leone Mazzola, Giovanni Massaro, Matteo Chiolero, Andrea Chiomo, Erminio Andreoni, Matteo Tarizzo, Angelo Quintagliè, Cesare Pochettino e Evasio Becchio i nomi di coloro che caddero sotto il fuoco degli squadristi.
Dopo la strage: il ricordo delle vittime e il nodo giustizia
L’eco della violenza arriva fino a Roma, dove il governo ordina un’inchiesta rivelatasi, però, solamente di facciata. Se da un lato Mussolini criticò gli eccessi dello squadrismo, dall’altro la ricostituzione del fascio torinese pose ai vertici gli stessi che si resero responsabili della strage, su tutti Cesare Maria Devecchi e Piero Brandimarte, che dopo appena un mese verrà nominato capo della Milizia di Torino.
Il ricordo delle vittime degli scontri divenne per i fascisti emblema identitario fin dai funerali di Dresda e Bazzani, con quest’ultimo che assunse particolare rilevanza nei cerimoniali commemorativi in giro per la città. Se fino a quel momento la Torino operaia aveva retto all’avvento del fascismo, l’impatto della strage del 18 dicembre fu enorme e finì per innescare un clima di semi clandestinità persino per quanto riguardò i funerali delle vittime: quasi in un’atmosfera di impuntà, gli squadristi distrussero l’epigrafe sulla tomba di Ferrero e la targa affissa sul muro della Camera del Lavoro. Nei mesi seguenti il fardello della damnatio memoriae calò sul ricordo delle vittime, mentre arresti e rappresaglie contro militanti comunisti e operai diventavano pratica comune.
Soltanto nel dopoguerra venne restituita dignità alla memoria dei caduti del 18 dicembre, a cominciare dalla piazza antistante Porta Susa che dal 1946 porta questo nome, mentre un tempo si chiamava piazza San Martino. Quanto a Brandimarte, dopo una prima condanna nel 1950 venne assolto due anni dopo in Corte d’assise d’appello per insufficienza di prove, tornando in libertà nonostante l’ondata di proteste e manifestazioni che accesero, di nuovo, Torino di indignazione.