Alla fine del 2021 l’Istat ha censito più di due milioni e mezzo di donne con cittadinanza estera, ossia il 50,9% dell’intera popolazione straniera residente in Italia. Eppure, di loro si parla poco o non si parla affatto. Come evidenziato nel rapporto “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità” del Centro studi e ricerche Idos in collaborazione con l’Istituto di studi politici “S. Pio V”, la maggior parte degli studi sull’immigrazione italiana mantiene neutralità rispetto al genere, finendo per assimilare l’esperienza femminile a quella maschile. Allo stesso modo le politiche assumono un approccio “gender blind” che si traduce in interventi rivolti soprattutto agli uomini. Inoltre, la donna migrante è spesso descritta come subordinata alla figura maschile. Le narrazioni prevalenti la dipingono come poco propensa a perseguire percorsi di autonomia. Si tratta, però, di una percezione errata: in realtà, i processi di vittimizzazione che le vedono protagoniste sono frutto di politiche migratorie e sociali costruite intorno al modello del migrante maschio, che tralasciano i loro bisogni in quanto donne, madri, lavoratrici.
Secondo quanto rilevato nel rapporto, il tasso di occupazione delle donne straniere (45,4%) è più basso, non solo rispetto agli uomini stranieri (71,7%), ma anche alle donne italiane (49,9%). La metà delle lavoratrici regolari si divide principalmente in tre professioni: collaboratrici domestiche, addette alla cura della persona e impiegate delle pulizie. Ne deriva una retribuzione media mensile di appena 897 euro al mese, pari cioè a -29% rispetto alle donne italiane e -27% rispetto agli uomini stranieri. Così, la metà delle donne immigrate si colloca nel 20% più povero della popolazione. D’altra parte, la condizione di madre, soprattutto se lasciata sola, incoraggia l’esclusione dal lavoro. Le madri straniere di 25-49 anni con figli in età prescolare hanno un tasso di occupazione (46,4%) decisamente più basso di quelle senza figli (77,9%).
Tra queste donne straniere, madri e lavoratrici, in equilibrio tra vulnerabilità e desiderio di affermazione c’è Soumia, 41 anni e originaria del Marocco. Dopo la separazione dal marito si traferisce a Torino con i due figli, deve ricominciare tutto da sola. La sua storia è una di quelle coinvolte nel Progetto Forza Mamme della Fondazione Specchio dei Tempi, grazie al quale l’abbiamo incontrata.
“Piacere, Soumia”
“Qualche volta senti che è tutto pesante. Io sono sola e devo lavorare per mantenere due ragazzi. Non è facile. Ci sono da pagare l’affitto, la luce, il gas, la spesa e i vestiti. Però, faccio da sola per forza perché ho due figli e non ho altra scelta”. Così parla Soumia. Originaria del Marocco, è arrivata in Italia 15 anni fa. Oggi lavora come aiuto cuoca a CasaOz, un associazione che accoglie i bambini e le famiglie che incontrano la malattia. “Ho cominciato come tirocinante, poi mi hanno assunto”, racconta.
Prima di questo lavoro, come molte donne immigrate, aveva fatto l’assistente familiare: “Il lavoro con gli anziani è bello. Però non sono tutti uguali, qualcuno può essere agitato, qualcun altro non vuole una persona straniera in casa. Per fortuna, io non ho mai avuto problemi. Alcuni mi chiamano ancora adesso e siamo in buoni rapporti”. Soumia non ricorda il lavoro di cura della persona come logorante e faticoso, eppure il lavoro a CasaOz le dà più soddisfazione. “Per questa cosa ho studiato di più. Qui a CasaOz mi hanno dato fiducia. Io prima avevo fatto un corso di pasticceria e uno di gastronomia, ma non avevo mai lavorato in una cucina”, ammette. “Non è un lavoro pesante o noioso. Quando vado a lavoro sono contenta, sono tranquilla. Vado volentieri e mi piace quello che sto facendo”, continua. Soumia ha trovato il lavoro a CasaOz grazie al Progetto Forza Mamme della Fondazione Specchio dei tempi, che aiuta le madri sole.
Ricominciare
Nel 2008, quando Soumia arriva in Italia, raggiunge il marito in Sardegna. Racconta, restando sul vago, che con lui “ci sono dei problemi” e che per questo, dopo sei anni, decide di lasciarlo e di trasferirsi a Torino. “Il suo problema era l’alcol. Quando beveva mi picchiava e mi trattava male”, rivela alla fine. A Torino, Soumia e i suoi figli devono ricominciare tutto da capo. In un primo periodo vengono ospitati da suo fratello, che presto perde il lavoro e la casa. Così, Soumia si rivolge agli assistenti sociali. Vivono per un periodo in un ostello, poi in un appartamento “provvisorio” e alla fine in una casa dell’Atc di Torino. Intanto Soumia cambia diversi lavori e segue numerose formazioni. “Con la cultura non ho mai avuto problemi. Con la lingua sì, soprattutto quando andavo dal medico e quando portavo a scuola i miei figli, ma grazie al francese sono riuscita a imparare subito”, ci tiene a precisare.
Un giorno sua sorella le parla di Specchio dei tempi. “Una sua amica le aveva detto che Specchio dei tempi aiutava le donne sole con i bambini. Allora sono andata da loro e abbiamo fatto un colloquio”, dice. Quando parte il progetto “Forza Mamme!” la fondazione la chiama e le chiede se vuole partecipare. “Ho detto va bene. Una cosa in più non fa mai male”, ricorda Soumia. “Abbiamo fatto un corso, qualche volta online con Antonio, qualche volta con Paola, qualche volta in presenza, perché c’era il Covid in quel momento”, racconta. “Loro hanno dato il mio numero alla Cooperativa Orso, che mi ha mandato a CasaOz come tirocinante. Ti dico la verità, Specchio dei tempi mi ha aiutato molto – continua Soumia -. Mi ha fatto capire che c’è ancora gente disposta ad ascoltare i problemi delle persone. Se dovevo parlare con qualcuno loro c’erano. È stata una bella esperienza”.
La quotidianità tra paure e speranze
Ogni giorno Soumia va a CasaOz per lavorare. Alcuni giorni va al mattino, altri al pomeriggio. All’inizio del turno lo chef le mostra i piatti da fare, le indica gli ingredienti e l’ordine delle preparazioni. Tra i piatti che preferisce cucinare ci sono le orecchiette al sugo alla siciliana e il pollo al limone. “Devi essere ordinata e lavorare con intelligenza. Devi ricordare a memoria tutti gli ingredienti”, mi spiega. Racconta anche di come a volte, quando lo chef non c’è, è lei a prendere il comando. “Allora devi navigare da sola”, dice.
Tuttavia, per Soumia le incertezze non sono finite. A fine giugno termina il contratto. “Vediamo cosa succede dopo”, dice come se non volesse avere troppe speranze. In contemporanea, durante la settimana Soumia continua ad andare a casa di una signora. Pulisce la casa e la aiuta a fare la spesa. I suoi figli studiano ancora. Il più piccolo, da quando si è separata dal padre, ha qualche difficoltà. Fa fatica a concentrarsi a scuola. Racconta che è per loro che continua ad andare avanti, nonostante la fatica di tutti i giorni: “Devo andare avanti per forza, se cado io cadono anche loro. Il padre non manda neanche un euro per loro, se io mollo tutto loro non riescono a vivere”. Sempre per il loro bene, infatti, aveva deciso di lasciare la Sardegna. Insieme ai problemi con il marito, anche i litigi con il proprietario di casa l’avevano convinta a trasferirsi a Torino. Oggi Soumia non nasconde la pesantezza di tutti i giorni e le difficoltà di essere una madre sola in un paese straniero, ma ringrazia la fondazione Specchio dei tempi per l’occasione che le hanno dato. E del suo lavoro dice: “A CasaOz ogni giorno c’è gente nuova. È bellissimo”.