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4 maggio: il ricordo del Grande Torino

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“Pioveva, c’era il fiume Po in piena, e aveva rotto gli argini. Mio papà mi propose di andare al Valentino per vedere questo Po in piena dove arrivava. Come tutti i bambini, quasi ragazzini. Siamo andati nel primo pomeriggio poi ci siamo fermati un po’ a chiacchierare e io sentivo dire “è precipitato un aereo”. Ma dove? A Superga? “È precipitato un aereo vicino a Superga”, “Ma possibile. Eravamo un po’ increduli. Si è diffusa la notizia quando eravamo sul tram di ritorno, perché allora c’erano le radio e basta, la radiolina non c’era ancora. “Ma è l’aereo del Grande Torino che tornava da Lisbona”. Io non ci credevo, non volevo crederci. “Ma no, impossibile” dicevo con mio papà. Arriviamo a casa e sentiamo subito la radio: parlava solo di quello. Diceva che l’aereo era caduto, che erano tutti morti, che era andato subito Vittorio Pozzo a riconoscerli. È stata una tragedia per me. Io ero un bambino, piangevo. Piangevo come un bambino, ecco.”

Gian Luigi Patrito ha 11 anni il 4 maggio 1949, quando l’aereo che riporta la squadra di calcio del Torino in città finisce il suo volo contro la Basilica di Superga, che quel giorno diventa il diavolo sulle colline. A causa delle condizioni meteo avverse, nebbia soprattutto e raffiche di vento, il velivolo si schianta contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica. Trentuno a bordo, trentuno morti. La squadra, l’equipaggio e tre giornalisti.

“Tuttosport, che era il giornale di Torino, La Stampa, la Gazzetta del Popolo: tutti parlavano solo di quello. È stato pazzesco. Ricordo la sepoltura. Io ero un bambino piccolo e volevo assolutamente andare a vedere queste bare esposte a Palazzo Madama, in centro città. Mio papà e mia mamma dicevano: “Ma no, ma come si fa ad andare lì? Un bambino piccolo”, però ci hanno provato. Hanno cercato di accompagnarmi in piazza Castello poi, vista la marea di gente che c’era, abbiamo rinunciato, perché un bambino non avrebbe visto niente, innanzitutto, e poi perché era pericoloso, poteva essere anche schiacciato dalla gente. Però ce l’ho fatta, nonostante la folla immensa. Mia cugina aveva un appartamento che dava proprio su via Roma, dalle finestre di casa sua li ho visti passare tutti lì davanti. Una marea umana che non riesco a descrivere, a salutare le bare”.

Con questa gente c’era anche chi aveva saltato la trasferta a a Lisbona, salvandosi: l’infortunato Sauro Tomà, il secondo portiere Renato Gandolfi, il capitano delle giovanili Luigi Giuliano, il neo acquisto Tommaso Maestrelli, il presidente Ferruccio Novo, fermato da malanni stagionali, e il cronista Nicolò Carosio, la voce del calcio, che nel 1932, presentatosi all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, aveva dimostrato le sue abilità inventando di sana pianta la cronaca di un derby della Mole arrivando al 5-5 in mezz’ora.

“L’abbiamo vissuta tutti quella tragedia, anche quelli che erano della Juventus. Allora la squadra che vinceva era il Torino e c’erano più tifosi nostri che della Juve, ma cambia in base alle generazioni. Perché capita che un bambino guardi chi vince, chi va forte, e venga convinto a tenere per quella squadra lì, a tifarla. Come ha fatto lei e come ho fatto io probabilmente. Mio papà e mia sorella, che è più grande di me di otto anni, erano della Juve e la mia prima volta allo stadio è stato un derby, mi pare al Comunale. Io non capivo ancora niente di calcio, ero piccolo, mi dicevano: “Tieni per quelli lì che hanno le maglie bianconere”. E io ho risposto: “No, no, preferisco le maglie granata”. Ho cominciato così, ed eccoci qui. Sono andato a vedere diverse partite, anche quelle difficili, ma vincevano sempre. A un certo punto giocavano male. Anzi, non è che giocassero male, ma se ne fregavano. Ricamavano, come dicevano i giornalisti, si passavano il pallone tra loro per lunghissimi minuti. Poi c’era quel signore, Bolmida, che suonava la tromba. Era come un richiamo per loro. Lì capitan Mazzola si tirava su le maniche e diceva “adesso diamoci dentro”. In quel quarto d’ora lì facevano tutto quel che volevano. Segnavano in tutte le maniere, ognuno tirava fuori i suoi migliori colpi. Mazzola era un fenomeno. Ma tutti erano bravi.”

Un concentrato di modernità che però la modernità non l’ha mai vista, una specie di non finito michelangiolesco, così il Grande Torino si è consegnato alla storia. Una squadra anarchica nella misura in cui c’era da lasciare spazio all’avversario, per poi diventare seriale, metodica e superiore. Una squadra che, se non fosse stata vinta dal fato, avrebbe stravolto ogni presente calcistico.

“A me piaceva molto Maroso, perché era un terzino diverso: lo vedevo bene da mediano o mezz’ala perché aveva una classe eccezionale, era molto elegante. Mi ricordo quando marcava Muccinelli della Juventus, che era forte come ala e dribblava. Lui lo lasciava un po’ dribblare, poi metteva il piede, senza fare fallo, in anticipo. È morto giovanissimo, sarebbe stato un fenomeno secondo me. Cioè lo era già, solo che aveva la sfortuna di infortunarsi facilmente, menisco e non menisco, allora non c’erano le cure di adesso. Comunque mi piacevano tutti, anche Gabetto mi piaceva. Poi c’era un giovane che giocava già in prima squadra e che secondo me avrebbe fatto una grande carriera. Si chiamava Fadini, era un mediano molto bravo, votato all’attacco. Sarebbe stato sicuramente titolare l’anno successivo, perché Castigliano e Grezar erano già un po’ avanti con gli anni. Sarebbero stati lui e Martelli i due mediani titolari. Non c’erano rivali. Io ricordo sempre, ascoltavo le partite per radio e soffrivo, eppure il Torino vinceva come voleva. C’erano solo due avversarie che spesso soffriva, mi pare a Bergamo con l’Atalanta e a Bari. Ogni tanto perdeva, ogni tanto doveva pur capitare, e io me la prendevo molto, come avessimo perso chissà che cosa. Un peccato? Che non esistessero le coppe perché con quei giocatori lì sono sicuro che avremmo fatto faville anche in Europa. La ritengo la squadra più forte di tutti i tempi.”

Oggi piove di rado, le persone si stanno a poco poco disabituando agli ombrelli. Il letto del Po, rispetto al passato, è quasi vuoto e il cielo è aperto. Se un bambino ha 11 anni, in questo 4 maggio 2023, da oggi potrà andare a giocare al parco Valentino Mazzola, sognando un giorno, il non lontano Filadelfia.

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