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Libertà di stampa? È (anche) un problema di soldi

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“Quanto è difficile oggi essere giornalisti in Italia? Tantissimo. Non per una questione di libertà democratiche o di valori, ma di libertà economica, di indipendenza economica”. Nella Giornata mondiale della libertà di stampa, il 3 maggio, la giornalista e sindacalista Silvia Garbarino, segretaria dell’Associazione stampa subalpina, spiega le difficoltà del mondo del giornalismo italiano.

“Qualunque tipo di lavoro, anche portare le pizze, ha un costo. Non si possono accettare cinque, dieci, ma anche venti euro lordi al pezzo se questo richiede un lavoro di due o tre ore”. A due giorni dal Primo Maggio, il lavoro resta tema centrale. Ed è difficile invocare credibilmente la libertà di stampa in Paese in cui chi svolge il mestiere del giornalista può ritrovarsi facilmente sottopagato e senza garanzie. Secondo Garbarino, però, pur in un mondo del lavoro frammentato e atomizzato, chi si occupa di informazione dovrebbe ribellarsi a certe condizioni.

“È importante avere un senso di responsabilità verso la comunità, altrimenti non esisterebbe il giornalismo. In un mondo del lavoro molto frammentato e molto povero bisogna avere la forza, anche appoggiandosi al sindacato, di rivendicare i propri diritti. Ma è uno sforzo che deve partire dal singolo – dice la segretaria della Subalpina -. Il sindacato affianca i colleghi dove può, ma spesso manca la capacità di riconoscere la dignità del proprio lavoro. Non significa scaricare su chi è precario il fatto di essere sottopagati, ma ci vuole anche una forza personale per non essere schiavi”.

Lo sfruttamento compromette la libertà di stampa, ma anche, dal lato dei cittadini, il diritto democratico di essere informati. Per Garbarino il problema risiede nel fatto che chi fa giornalismo, paradossalmente, spesso non è ben informato sui propri diritti. Accettare di lavorare a condizioni antisindacali, oltre a foraggiare il precariato, spinge tutte le contrattazioni al ribasso. “Molti di noi intraprendono questo mestiere senza sapere le regole di base. Di persone così difficilmente ne ho ritrovate in altre categorie professionali. Colleghi che non sanno quali siano le basi di una contrattazione ce ne sono a bizzeffe. Siamo la categoria peggio pagata, peggio degli addetti dei call center”. Forse, dice Garbarino, è necessario esigere dai giornalisti che studino, prima di iniziare: “Studiare anche le regole deontologiche e quelle del lavoro. Proprio per il tipo di mestiere che fa, da un giornalista lo pretendo”.

Gavetta, sfruttamento, promesse di visibilità da una parte. Studio e accesso alle scuole di giornalismo dall’altra. Il rischio di un settore attraversato da una frattura così profonda tra chi ha le risorse per svolgere consapevolmente questa professione e chi no, è che si riduca a un ambito al quale ha accesso solo una ristretta élite di persone. E la scarsa rappresentanza di classi meno privilegiate mortifica il valore democratico del giornalismo.

Ma un giornalista formato arricchisce la società. “Il percorso del mestiere è importante. Ci sono delle scuole in cui superi un esame, studi, ti fanno fare il praticantato attivo con degli stage e poi vai a dare l’esame. Questo è uno dei canali. È fondamentale per esercitare la libertà dell’art. 21 della Costituzione. Se scrivo tutti i giorni un post su Facebook, [ed esercito così la libertà di espressione, ndr] questo è fare giornalismo? Con nessuno che mi paga?”. Il lavoro del sindacato, per Garbarino, diventa una risorsa imprescindibile per la libertà di stampa: “Uomini e donne che lottano insieme nel sindacato sono necessari, da soli non si va da nessuna parte.”

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