Ascoltiamo i podcast in macchina, mentre facciamo le pulizie, oppure la mattina, quando andiamo a lavoro. Le voci di giornalisti e autori ci accompagnano nella quotidianità e, come quando leggiamo un libro, nell’ascoltare le loro storie la nostra mente forma i loro volti. Solo raramente accade che nella realtà riusciamo ad incontrare le persone reali, che si nascondono dietro quei racconti. A Biennale Democrazia è successo.
Un racconto giornalistico, un documentario, un reportage. Sono questi i termini con cui le persone si riferiscono normalmente al podcast di Rai play sound “Io ero il milanese”. Appena salito sul palco dell’Off topic, l’autore Mauro Pescio precisa di non essere un giornalista, ma un attore. Il suo compito è quello di “raccontare storie”.
“Servirebbe un podcast sui podcast”, propone con ironia Francesco Costa nell’aula Magna del Campus Einaudi.
La varietà è ampia, e quindi Costa e Annalisa Camilli restringono il cerchio al loro campo d’azione, il giornalismo. Il settore, in crisi, trova nel podcast “un modo nuovo di fare cose vecchie”, analizza Camilli. Nel podcast il tradizionale schema giornalistico, l’obiettività, viene messe in discussione. Resta il rigore accompagnato dalla mediazione delle storie ma , per la prima volta, il giornalista entra in scena nel racconto degli eventi.
Le idee e le opinioni dei due giornalisti si incontrano e si intrecciano nel corso dell’evento. La voce è la vera protagonista del mezzo e con essa, la relazione di intimità che si costruisce con il proprio pubblico. L’ascoltatore si abbandona e affida a ciò che viene detto. Non ci sono vie di scampo, nessuna distrazione. Il podcast riduce al minimo il rumore e gli stimoli infiniti a cui siamo ormai abituati.
In “Io ero il milanese”, Mauro Pescio e Lorenzo S. conducono gli ascoltatori attraverso la narrazione, non di un eroe, ma di una vita fatta di “tanti fallimenti, di scelte sbagliate”. Ma è anche il racconto di un sistema, quello delle carceri italiane. Nel podcast il sistema penitenziario è descritto nei suoi successi e nei suoi fallimenti. La storia di Lorenzo S. dimostra, però, che un carcere realmente riabilitativo può esistere. “Lorenzo non si sarebbe fatto vent’anni di galera se avesse incontrato certe possibilità prima e, invece, prima ha trovato una detenzione totalmente punitiva”, commenta Pescio.
Se il contenuto di “Io ero il milanese” è una rivoluzione, invece, il medium scelto non lo è affatto. Come osserva Pescio, “Il mezzo audio è un mezzo antichissimo. La narrazione in audio non è una rivoluzione. Sicuramente degli orizzonti si sono aperti attraverso il podcast e delle possibilità creative”.
Quando si affronta il tema, infatti, si apre un mondo: diversi stili, temi, approcci caratterizzano uno strumento nato nei primi anni 2000, dimenticato e tornato in auge nel 2014, con il podcast Serial. Ora, sta vivendo un momento di grande popolarità con 11 milioni di italiani appassionati grazie soprattutto alla facilità di fruizione e alla serialità del mezzo.
Il podcast crea intimità ed entra nell’intimità di chi ascolta. “Limoni” di Camilli lo ha fatto raccontando gli eventi del G8 di Genova. La voce di Costa in “Morning” è ormai un rituale nella mattina degli abbonati del Post. E in platea, erano tanti. Significa che un riavvicinamento all’informazione di un pubblico, che sempre più spesso si sente travolto dalle notizie, è possibile. “Il podcast è un luogo sicuro che restituisce contesto alle notizie, rende più fruibili le storie e permette di raccontare le crisi in modo più umano, fuggendo dalle immagini di sofferenza che dominano sui social e in televisione”, le parole della giornalista di Internazionale.
Non solo, il podcast ha la libertà che non vedi chi sta parlando. Ha consentito, quindi, a Mauro Pescio e Lorenzo S. un’intimità maggiore. “Ci ha permesso di andare a fondo su certe tematiche che probabilmente ci saremmo censurati con una telecamera davanti”, ammette l’autore.