“Questa guerra non s’aveva da fare”: la rigorosa premessa di Fabrizio Maronta, Responsabile relazioni internazionali di Limes, apre l’evento di Biennale Democrazia dedicato ai cambiamenti portati al nostro mondo dalla guerra in Ucraina. Secondo l’esperto di geopolitica, neanche chi ha scatenato questa guerra aveva previsto quanto accaduto. Putin avrebbe voluto ripetere quanto successo nel 2014 con l’annessione della Crimea: una replica su vasta scala. L’errore di valutazione è imputabile a diversi fattori: fonti intelligence inaffidabili, volontà di grandezza del capo di Stato russo, impossibilità di contraddittorio da parte dei suoi sottoposti, sottostima della resistenza ucraina. Il risultato non cambia, il conflitto si è trasformato in uno dei peggiori immaginabili: la guerra d’attrito. E gli effetti di questo logoramento si vedono adesso. Il dato strutturale è che questo è diventato un conflitto non tra Russia e Ucraina ma tra Russia e Occidente, quello americano-centrico rappresentato dalla Nato. Uno dei moventi strategici, al netto della follia di Putin di cui al momento non c’è però traccia clinica, è che la Russia temeva, da una parte, la minaccia Nato e, dall’altra, il rafforzamento cinese.
In realtà, Russia e Stati Uniti condividevano fino a poco tempo fa un importante legame commerciale e quindi geopolitico, dato che il commercio implica fiducia. Gli scambi sono sempre cresciuti nel tempo, sopravvivendo anche agli anni più duri della Guerra fredda. Ora, però, se la Russia dovesse muoversi verso est, si porrebbero le condizioni per un suo allontanamento dall’Europa, con effetti sicuramente non banali. Dopo il blocco del gas russo l’Europa non ha cambiato paradigma: gas era e gas rimarrà, ma sarà gas di qualcun altro. E questo durerà per un periodo verosimilmente lungo. L’affidabilità è però fondamentale in questo contesto: la Russia è sempre stata corretta in termini economici, ma il blocco delle forniture le ha fatto perdere credibilità. I rubinetti si riapriranno, ma la fiducia è difficilmente recuperabile.
Ci sono periodi in cui la storia accelera. Secondo Maronta stiamo vivendo in uno di questi. Perché la linea rossa può essere inscritta sotto il grande capitolo del revisionismo anti-americano. La domanda è se il Ventunesimo secolo sarà un altro secolo americano, come quello appena passato. C’è chi ritiene che questo equilibrio non sia più così conveniente e la guerra in Ucraina è una delle manifestazioni più scomposte e tragiche di questo pensiero. Le potenze medio-piccole, che hanno interessi di sicurezza ma anche commerciali dall’una e dall’altra parte, saranno chiamate a scegliere in questo irruente processo: la posta in gioco è alta.
Guardando a un futuro ancora apparentemente molto lontano, questa guerra lascerà di certo un’Alleanza Atlantica ricompattata, forte del recupero della ragione sociale per cui era nata. Ma il rafforzamento sarà anche dovuto all’allargamento verso Est. Fatti salvi i veti di Erdoğan, cui si può soprassedere dando al capo di Stato della Turchia qualcosa in cambio, sono in arrivo le adesioni alla Nato di Svezia e Finlandia. Due paesi la cui neutralità serviva proprio a evitare di infondere nella Russia un senso di accerchiamento.
“Si sente parlare sempre più spesso di multipolarismo, ma prima di questa guerra, per tutto il 2021, il tema centrale è stato quello della linea rossa”. Così ha esordito Mirko Mussetti, analista di geopolitica e scrittore per Limes e InsideOver. Una linea corta e retta a unire Mar Baltico e Mar Nero: una spartizione geografica unilaterale. “Non superate la Linea rossa perché saremo costretti ad agire”, dicevano i russi. Solo gli Usa hanno compreso fin da subito la serietà delle intenzioni. Ne è derivato il rafforzamento dell’Istmo d’Europa, la nuova Cortina d’acciaio in cui si gioca il confronto Occidente-Oriente. La Nato ha sfruttato i territori di Polonia e Romania per ingrandire il più possibile il proprio scudo. Quei luoghi sono stati dotati di missili difensivi ma anche offensivi, in grado di attaccare la Federazione russa. Al centro della Romania, nella città di Câmpia Turzii, è stata posizionata una base aerea Nato con capacità nucleare. La stessa cosa è stata fatta in Polonia. Due basi che costituiscono i due fuochi dello spazio ellittico americano.
In contemporanea, è stato rafforzato il collegamento tra Danzica e Giordania. Una mossa giustificata ufficialmente da ragioni economiche, ma che non spiega le ragioni del trasporto di merci da un mare semichiuso, il Mar Nero, a un altro semichiuso, il Mar Baltico. Soprattutto considerando che lo stesso lavoro potrebbe essere svolto attraverso il Mar Adriatico. E infatti, a essere mobilitate non sono solo le merci ma anche i mezzi pesanti della Nato. E ancora, a Yavoriv, distante pochi chilometri da Leopoli, si è insediata una stazione di addestramento della Nato. La posizione è anche qui strategica, in quanto ci troviamo in un punto mediano dell’asse Giordania-Danzica. Le basi americane sono collocate soprattutto nell’ovest della Polonia e nell’ovest della Romania: le truppe, oltre a fronteggiare la Federazione russa, devono marcare stretto la Germania, la più grande potenza europea, e devono essere pronte a intervenire nei costantemente instabili Paesi baltici. Tutto ciò è stato progettato prima del 2014, a riprova del fatto che gli Usa non sono stati colti di sorpresa dalla guerra in Ucraina, a differenza dell’Europa.