Il diritto all’autodeterminazione è stato il tema che ha guidato i due giorni di “Giovani InControScena”, il festival che tra ieri e oggi ha fatto incontrare circa 150 ragazzi delle scuole superiori e dell’Università di Torino. Il punto di ritrovo è stato il Teatro Astra, che ha ospitato dibattiti e riflessioni sul tema della discriminazione di genere e della dignità individuale. E ovviamente non sono mancati gli spettacoli.
Gli attori della compagnia “Il Piccolo Teatro d’Arte” hanno messo in scena “Magdalene”, vicenda ambientata in uno di quei monasteri irlandesi entrati nella storia con il nome di “case Magdalene”. Si trattava di istituti femminili in cui venivano rinchiuse le ragazze ritenute immorali, luoghi in cui maltrattamenti e abusi erano all’ordine del giorno. Lo spettacolo racconta di una lavandaia di Galway che si innamora di una suora, con tutte le difficoltà che questo comporta. La storia, fittizia, viene inserita in un contesto che è stato, in passato, più che reale. Nessuna sofferenza è stata inventata.
Nato nel 2009 con il sostegno del servizio Lgbt della Città e dell’assessorato alle pari opportunità, lo spettacolo è stato scritto da Claudio Ottavi Fabbrianesi, regista e organizzatore del festival. “Per il tema trattato e per la forza della narrazione teatrale, questa storia si inserisce bene in un contesto di riflessione sul tema del diritto all’autodeterminazione – ha spiegato Ottavi Fabbrianesi – gli esseri umani devono essere in grado di autodeterminarsi, in tutti i sensi. La vicenda si ispira a fatti realmente accaduti: in Irlanda questi monasteri hanno funzionato fino al ’96. Sembra di essere nel medioevo e invece non si tratta di un tempo così lontano da quello che viviamo oggi. Questo ci permette di ragionare su quello che è avvenuto in passato e su quello che avviene tutt’ora. In particolar modo ci siamo concentrati sui diritti delle donne e della comunità Lgbt”.
Diversi i professionisti che hanno preso parte alla manifestazione. Tra di loro anche Anna Mastromarino, docente del dipartimento di Giurisprudenza di Torino. Ha ripercorso i passaggi legislativi che hanno cambiato la vita delle donne italiane, ma ha sottolineato anche quanto ancora ci sia da fare per le donne di tutto il mondo. “Nel 1981, nel nostro Paese, è stato abolito il delitto d’onore, il quale si portava dietro il cosiddetto matrimonio riparatore – ha raccontato – Del resto, fino a qualche decennio fa, lo stupro non veniva considerato come un reato contro la persona. Si trattava di un reato contro l’onore collettivo, il pudore, la società. Il corpo della donna non era ritenuto importante, lo era invece quello che rappresentava. Mi è molto piaciuto lo spettacolo ‘Magdalene’ perché fa vedere bene quello che è stato il progressivo impossessamento che la società ha attuato nei confronti del corpo delle donne. Oggi invece affermiamo l’autodeterminazione, che purtroppo però viene ancora a mancare in diverse zone del mondo”.
Gli interventi sono stati intervallati dalla lettura di alcune pagine di “Leggere Lolita a Teheran”, racconto autobiografico della scrittrice iraniana Azar Nafisi. “Nel periodo in cui sono cresciuta, gli anni ’60, non c’era molta differenza tra i miei diritti e quelli delle donne che vivevano nelle democrazie occidentali”. È quello che scrive l’autrice, le cui parole hanno preso vita grazie a due giovani attrici de Il Piccolo Teatro d’Arte: “Volevamo tutte le medesime libertà. Ed è per questo motivo che abbiamo appoggiato la rivoluzione, era un modo per avere più diritti. Di lì a poco il governo approvò nuove norme che disciplinavano l’abbigliamento delle donne. L’ossessione per il velo mi aveva indotta a comprare un’ampia veste nera, fino alle caviglie. A poco a poco arrivai a fingere che quando portavo la veste, tutto il mio corpo si dissolveva”.
E oggi, nel 2023, il regime cerca di rendere le donne iraniane ancora più invisibili. Loro fanno vedere i capelli, ballano, si ribellano. La violenza sempre avere la meglio, ma loro cercano di resistere. E proprio di questo ha parlato Luca Andreani, rappresentante di Amnesty International. “In Iran, oggi, una donna non può neanche camminare da sola – ha spiegato – non può vestirsi come vuole, deve usare il velo. Esiste ancora il delitto d’onore, la violenza domestica non è considerata reato. Possono essere condannate a morte. In questa fotografia esistono anche dei controsensi: l’Iran ha avuto solo un premio Nobel per la Pace: Shirin Ebadi, una donna. Ha anche avuto una sola Medaglia Fields, premio per i matematici: è andata a Maryam Mirzakhani, una donna. Hanno saputo dimostrare il loro valore, ora invece non possono neanche studiare”.