Il 20 marzo Piazza Palazzo di Città di Torino si è riempita di fiaccole accese. In mezzo numerose bandiere, gialle, arancio e fucsia. Sopra una scritta: “Libera”. Tra loro i cartelli con le immagini di alcune vittime di mafia legate al territorio piemontese. È la ventottesima edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Quest’anno, però, oltre ai 1069 nomi delle vittime di violenza mafiosa dal 1860 fino a oggi, sono stati ricordati anche i morti del naufragio di Cutro. Davanti al palco, è stato steso un lenzuolo bianco e, sopra di esso, sono stati collocati 87 fiori di carta. Al microfono Beatrice ha letto i nomi dei minori, suoi coetanei, che hanno perso la vita in mare. Ma, le vittime di quelle che Don Luigi Ciotti ha definito “deportazioni indotte”, come ha ricordato Andrea Zummo referente di Libera Torino, saranno ricordate anche il 21 marzo a Milano. Alla manifestazione persone da tutta Italia si riuniranno “per chiedere verità e giustizia” e domandare “un paese libero dalle mafie e dalla mentalità mafiosa”, ha detto Maria Josè Fava, presidente di Libera Piemonte.
In particolare, Fava ha ricordato i nomi di dodici persone “che raccontano delle mafie sul nostro territorio”. Presenti a Torino, anche molti rappresentanti delle istituzioni. A loro si è rivolta la presidente di Libera Piemonte: “Oggi non chiediamo alle tante istituzioni un saluto, ma un impegno. Un impegno che ci portiamo a casa”. Il prefetto di Torino, Raffaele Ruberto, ha promesso di “continuare giorno per giorno a fare il proprio lavoro in silenzio”, sottolineando che “essere con o contro la mafia significa essere con o contro la Repubblica”. La vicesindaca Michela Favaro, invece, ha voluto assumere un “impegno concreto”: lavorare al fine che quest’anno tre immobili confiscati vengano rimessi in utilizzo alla collettività.
“Capita a volte di chiedersi se la morte delle vittime di mafia sia servita a qualcosa”, ha confessato, al termine della lettura dei nomi delle vittime di mafia, Gian Carlo Caselli, ex magistrato e presidente onorario di Libera. Dopo aver letto le parole dello storico Salvatore Lupo, ha cercato di rispondere alla difficile domanda: “Perché sono morti Paolo Borsellino e Giovanni Falcone? Perché noi non siamo stati abbastanza vivi. Loro hanno visto cosa stava accadendo e hanno continuato a fare il loro dovere pur sapendo a cosa sarebbero andati incontro. Noi ci siamo accontentati del quieto vivere e, non essendo noi stati abbastanza vivi, li abbiamo sovra esposti e li abbiamo lasciati soli”.