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Ivrea: due giornate di riflessione sul carcere

“Abbiate la consapevolezza che, portando la voce dei detenuti e di chi ci lavora fuori dal carcere, nel vostro piccolo state cambiando il mondo e una cultura”. Sono queste le parole della senatrice Ilaria Cucchi ai partecipanti della seconda e ultima giornata di riflessioni sul sistema carcerario italiano tenutasi a Ivrea, “Ti riguarda. La persona al centro del progetto: ripensare la pena. Dentro, fuori e oltre il carcere”. Diverse figure, tra cui psicologi, professori, attivisti, deputati, personale delle carceri hanno dialogato attorno a tre tavoli per trovare nuove proposte per un sistema che ad oggi non garantisce quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Il documento finale della giornata potrebbe approdare in Parlamento e dare il via a un cambiamento concreto.

L’incontro pone un focus sulla condizione di isolamento tipica del carcere, percepito come lontana dal resto della società. E le problematiche psicologiche non riguardano solamente i detenuti. “I suicidi sono commessi da entrambi, carcerati e guardie. Questo è dovuto al sistema chiuso del carcere: il rapporto dei suicidi con il mondo esterno è di 7 a 1”, evidenzia Florindo Oliverio, Segretario Nazionale presso FP Cgil nazionale. In più, il supporto offerto dalle strutture penitenziarie non si rivela sufficiente, in relazione al numero di detenuti che ne hanno bisogno. 

I numeri dei detenuti sono molto alti: gli istituti penitenziari ospitano più di 56 mila persone, a fronte di una capienza di circa 51 mila posti. Si parla di un tasso di sovraffollamento del 109%, senza tener conto delle strutture attualmente inagibili. “Il ricorso ai reati diminuisce se la persona all’interno del carcere è messa nella condizione di migliorarsi e di sviluppare le proprie competenze. Ma questo aspetto rischia di venire a mancare: è più semplice punire, che investire sulle cause del disagio”, sottolinea Gianluca Peciola, attivista per i diritti umani. Emiliano Andreatta, dell’associazione Pausa Café, sottolinea però un altro aspetto critico legato alle attività per i detenuti: spesso, quando cambia il direttore di un istituto penitenziario, cambiano anche le regole e i progetti iniziati. Questo va a minare ancora di più la situazione di incertezza di chi si trova in carcere, che spesso è una delle principali cause di malessere per i detenuti.

L’associazione Antigone ha pubblicato il primo report sulla condizione delle donne in carcere. Ad oggi, la popolazione femminile in Europa rappresenta il 4,2% dei detenuti. Si tratta di una percentuale molto bassa. “La problematica dell’essere donna in carcere e di questi numeri così poco rappresentativi comporta che le detenute ricevano un trattamento diverso – sottolinea Perla Allegri, dell’associazione Antigone –. Un conto è trovarsi in una delle 4 strutture meramente femminili. Nelle sezioni femminili delle altre carceri, spesso, i corsi di formazione professionale non partono perché non ci sono numeri per formare una classe. È importante avere una prospettiva di genere sulla detenzione femminile. Manca un investimento sulle donne”.

Un’altra questione importante è quella della maternità: ci sono donne detenute insieme ai loro figli. Alcune, in attesa del provvedimento del giudice per il trasferimento all’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri), si trovano ancora nelle case circondariali canoniche, senza gli aiuti e le strutture necessarie. “Il numero dei bambini in carcere è sceso”, soprattutto a causa della pandemia, continua Perla Allegri: “Durante l’emergenza sanitaria, sono state analizzate le storie delle detenute madri ad una ad una e si è provveduto alla scarcerazione”.

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