di Valerio Barretta e Camilla Cupelli
Migliorare le piste ciclabili, aumentare gli spostamenti in bicicletta e promuovere l’uso condiviso delle automobili: sono questi gli obiettivi principali del tavolo di lavoro “Mobility”, parte del più ampio progetto “UniToGO”. Il gruppo ha iniziato i lavori nella primavera del 2016, ma solo a ottobre ha lanciato la prima indagine universitaria a livello nazionale sulla mobilità, che chiede ai ragazzi di raccontare il loro percorso casa-studio. L’indagine non è semplice: UniTo conta 120 sedi e 70.019 immatricolati, coinvolge tutta la città e supera addirittura i suoi confini. Raccogliere i dati di tutte le persone coinvolte è quindi un’impresa ma la meta sembra sempre più vicina.
«Abbiamo sentito l’esigenza di chiedere agli studenti come raggiungono l’Università per due motivi: l’elevata quantità di persone e mezzi di trasporto che ruota attorno alle nostre sedi e la percezione di una totale assenza di attenzione sulla mobilità sostenibile, almeno a livello istituzionale», ci racconta Andrea Scagni, docente di Statistica al Campus Luigi Einaudi e responsabile di questo gruppo. «Quello fondamentale è cambiare il modal share, cioè la percentuale di spostamenti con un certo tipo di mezzo di trasporto: stiamo lavorando con GTT per migliorarne il servizio, e in generale vogliamo aumentare l’incidenza della bicicletta». In effetti, secondo i dati della ricerca “L’A Bi Ci della ciclabilità” pubblicati da Legambiente nel 2015, a Torino la percentuale degli spostamenti urbani in bici è solo il 2% del totale, contro il 28% di Bolzano e Pesaro.
Le idee in gioco sono molte e vanno tutte nella direzione di promuovere spostamenti compatibili con l’esigenza della mobilità sostenibile. Torino, ad esempio, mette a disposizione dei suoi studenti il bike e il car sharing, ma UniToGO vuole andare oltre: «È in ballo, sia pur a livello embrionale, la creazione di un car pooling universitario, cioè il tentativo di utilizzare veicoli privati in condivisione tra un gruppo di persone che devono percorrere lo stesso itinerario. Certamente ottenere un passaggio da chi capita è meno sicuro rispetto alla certezza di avere lo stesso passaggio sapendo che si è in compagnia di altri studenti». L’inadeguatezza delle piste ciclabili è un’altra annosa questione: tra il Campus Einaudi e il centro di Torino, ad esempio, non solo non esiste una ciclovia ma è impossibile percorrere una strada lineare per via dei sensi unici e dei passaggi dei tram.
«Uno dei nostri studenti – ci racconta ancora Scagni – sta inoltre lavorando all’elaborazione del footprint di tutto il Campus Einaudi: un lavoro, come immaginerete, molto complesso che però potrà darci l’idea di cosa significa per il pianeta far spostare tutte queste persone fino a qui». Si tratta di una complicata analisi sui livelli di CO2 emessi da chiunque si muova giornalmente verso il Campus Einaudi che potrebbe fornire le basi per capire come ridurre le emissioni.
Progetti, studi, obiettivi che dovranno essere messi in pratica: ma non c’è il rischio di una resistenza culturale al cambiamento? «È chiaro che ci siano questi ostacoli, perché in Italia la macchina di proprietà è ancora uno status symbol, mentre in altri paesi non è più così. Ma credo che in ambito universitario, con persone giovani e aperte dal punto di vista culturale, le cose possano migliorare. Bisogna, però, lavorare molto sulla sensibilizzazione istituzionale. A tutti i livelli: sia in UniTo che nei comuni».