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Cinghiali, agli agricoltori una licenza di sparare

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Hanno raggiunto il dipartimento universitario di Grugliasco e si sono accomodati nelle aule della facoltà di Veterinaria. Non sono studenti normali, sono agricoltori. Hanno iniziato ieri sera il corso indetto da Coldiretti Torino che permetterà loro di intervenire direttamente nella gestione dell’emergenza cinghiali. Si sono presentati a lezione già in possesso del porto d’armi, indispensabile per poter colpire la fauna selvatica che entrerà nei loro campi.

Un intervento diretto

La formazione si concentra soprattutto sulla sicurezza e sulle modalità di azione nel caso in cui si avvistasse uno o più esemplari nel proprio territorio. Chi possiede un’attività agricola conosce bene lo sconforto di trovare i campi danneggiati alla mattina. E se prima l’intervento era gestito da specifiche figure autorizzate dalla Città metropolitana di Torino, ora le cose si fanno più semplici e più veloci, permettendo agli agricoltori di agire direttamente. La normativa piemontese, tramite il decreto sul contenimento della peste suina africana, ha dato il via libera a conduttori e proprietari di terreni di gestire l’emergenza cinghiali da sé. Ma per farlo gli agricoltori sono obbligati a seguire le 120 ore del corso di Coldiretti e sostenere un esame finale. Un’iniziativa che prende di petto l’emergenza, pericolosa per due principali motivi.

Danni e epidemia

Il primo riguarda i danni che i cinghiali provocano ai territori, che costano parecchio agli agricoltori. A inizio anno Confagricoltura aveva messo il Piemonte al secondo posto nella classifica delle regioni italiane più colpite. Dal 2015 al 2021 sono stati calcolati danni per circa 17 milioni di euro. E le stime non hanno fatto altro che crescere, tanto che i soli uffici di zona di Coldiretti Torino nel 2022 hanno ricevuto richieste di rimborso pari a 800mila euro. Soldi che entreranno nelle tasche degli agricoltori nei prossimi anni.

Il secondo problema è legato alla peste suina africana, i cui casi sono in continuo aumento. “Sono ormai oltre 360 le carcasse di cinghiali scoperte positive al terribile virus – spiega il presidente di Coldiretti Torino Bruno Mecca Cici – la malattia potrebbe diffondersi rapidamente e dai boschi tra Liguria e Piemonte potrebbe propagarsi anche nella provincia di Torino minacciando gli allevamenti di suini”.

I rischi della peste suina africana

“Se si verificasse un passaggio dal suino selvatico a quello di allevamento, la perdita economica nel nostro Paese schizzerebbe a 60 milioni di euro”. Lo aveva dichiarato qualche settimana fa Angelo Ferrari, ex commissario straordinario per l’Emergenza della peste suina africana. In un’intervista rilasciata a “Quotidiano Sanità”, non aveva usato mezzi termini. “Guai a prenderla sottogamba – aveva detto – L’obiettivo da perseguire con determinazione è la sua eradicazione”. È stato recentemente sostituito da Vincenzo Caputo, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche. E Coldiretti Torino non ha nascosto le grandi aspettative sull’operato del neoeletto commissario nazionale, tanto da rilanciare un appello già fatto in precedenza.

L’intervento dell’esercito 

“Al nuovo commissario chiediamo che si valuti con estrema serietà l’impiego dell’esercito per raggiungere risultati soddisfacenti in tutto il territorio metropolitano torinese”, dice il presidente di Coldiretti Torino Mecca Cici. “Speriamo davvero che la sostituzione del commissario straordinario possa imprimere una svolta nel contrasto all’epidemia. Finora è stato quasi inesistente con risultati bocciati dagli stessi numeri diffusi in questi giorni, dove il virus sembra in preoccupante crescita”.

Intanto si studia per autodifendersi

Con le modifiche legislative attuate in Piemonte e il corso avviato Coldiretti Torino si definisce un cambio di rotta. Si attende sulla richiesta dell’intervento dell’esercito, ma intanto si lavora per poter contrastare il fenomeno sul territorio. Meno cinghiali significa meno danni. E meno esemplari in circolazione significa meno rischio di infezione. Gli agricoltori, inoltre, potranno tenere l’esemplare abbattuto ed eventualmente venderlo, previo controllo dal veterinario. Una modalità che ai diretti interessati piace, anche perché vengono esaudite le richieste alle quali danno voce da anni. “Dateci la possibilità di intervenire” chiedevano. Ora prendono in mano la situazione, in attesa di nuovi sostegni. Lo fanno alla fine dell’inverno, momento il cui viene seminato il mais, di cui i cinghiali sono ghiotti. 

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