Il Piemonte fa un altro passo indietro sui diritti. Con il fondo “Vita nascente” contro l’aborto, la galassia delle associazioni pro vita ottiene finanziamenti direttamente dalla Regione e la giunta di destra prosegue la sua marcia contro il principio di autodeterminazione delle donne.
La misura, approvata il 26 aprile in consiglio regionale, prevede di stanziare 400mila euro di risorse per le donne in difficoltà economica che scelgono di non abortire. I fondi pubblici destinati alle associazioni, su richiesta del Partito democratico saranno gestiti in collaborazione con consorzi socio-assistenziali e consultori del territorio. Il promotore del testo, l’assessore al welfare Maurizio Marrone, è così riuscito a rinsaldare il rapporto di interdipendenza tra consultori familiari, che dovrebbero garantire supporto incondizionato alle assistite, e associazioni che mirano a rallentare l’accesso ad aborto e contraccezione d’emergenza.
Per l’esponente di Fratelli d’Italia, che aveva definito “cultura della morte” l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), la misura scongiurerebbe un centinaio di aborti indotti da condizioni economiche precarie. “L’ennesima campagna sulla pelle delle donne” l’ha definita Marco Grimaldi, consigliere regionale Liberi Uguali e Verdi (Luv): “Siamo davanti a un abominio – ha dichiarato a Futura News -. Da domani in Piemonte una donna indigente che si rivolgerà a un consultorio pubblico o alla propria ginecologa non avrà nessun contributo, mentre le prime cento donne che entreranno nei centri pro vita riceveranno 4mila euro.”
I progetti, finalizzati al superamento delle cause che potrebbero indurre all’interruzione di gravidanza, potranno essere presentati da realtà e associazioni definite “di tutela materno-infantile”, accreditate presso le Asl e riportanti il dettaglio delle spese che intendono sostenere. Oltre che discriminatoria, però, la misura – che è un emendamento al Bilancio di previsione 2022-24 – presenterebbe anche delle problematiche da un punto di vista legale: “In passato, in altre Regioni, – prosegue Grimaldi – bonus maternità erano stati destinati alle donne in gravidanza dal settimo mese in poi, ma qui siamo davanti a un’assurdità giuridica. Tutte le donne indigenti, non solo quelle che si sono avvicinate ai centri pro vita, dovrebbero essere incluse nella misura. È un discorso che non sta in piedi da un punto di vista istituzionale, politico e sanitario.”
L’intervento si inserisce nello storico delle strategie che le giunte di destra del Piemonte hanno utilizzato negli anni per acquisire terreno nella lotta alla libera scelta delle donne sul proprio corpo. I tentativi di approdare all’interno dei consultori si erano a lungo rivelati vani, grazie all’opposizione di associazioni femministe e sindacati, così che gli esponenti di destra si erano finora accontentati di presidiarne la soglia con materiale informativo. Ma lo scorso marzo Marrone, insieme all’assessora della Lega Chiara Caucino, aveva fatto approvare nel silenzio generale un atto amministrativo che dava possibilità di accesso alle pro life nei consultori e persino nei reparti di ginecologia degli ospedali. Tre associazioni avevano vinto il bando, riuscendo a mette un piede dietro la porta dei consultori, dai quali erano finora stati tenuti tenacemente alla larga. Di fatto, non hanno mai posseduto degli spazi al loro interno, come precisa Maria Clara Zanotti, responsabile dei consultori di Torino. “Le associazioni pro vita non sono mai state presenti nei consultori e non è mai stata richiesta la loro presenza. È richiesta, invece, una collaborazione attiva e fattiva, che prevede l’invio delle donne negli spazi che le associazioni mettono a disposizione.” La collaborazione consiste, quindi, nell’indirizzare alle associazioni quelle donne che facciano presenti difficoltà economiche e situazioni di fragilità, per realizzare degli interventi coordinati di sostegno a questi casi di “maternità difficile”. Per Zanotti, l’istituzione del fondo non comporterà un cambiamento nei rapporti e nelle attività condivise. Eppure, questa nuova misura potrebbe rappresentare “un modo per legittimare ancora di più dei percorsi che non dovrebbero essere legittimati” e “il passo successivo di una campagna già in atto”, sostiene Grimaldi.
A novembre dello scorso anno, infatti, una rete di associazioni, avvocate e ginecologhe aveva inviato una lettera di diffida alla Regione Piemonte che, contro le linee guida ministeriali, impedisce il ricorso all’Ivg con metodo farmacologico nei consultori, confinandola solo a strutture ambulatoriali e day hospital. E nemmeno a tutti. “Il consultorio – giustificava Marrone – è luogo di informazione e assistenza, che serve a rimuovere le possibili cause sociali della scelta di abortire e non sede dove eseguire le interruzioni di gravidanza”.
Questa è, però, solo una delle violazioni ai diritti delle donne in Piemonte, dove il numero di medici obiettori di alcune Asl e ospedali li rende incapaci di assolvere il loro compito di garantire il diritto all’aborto. In base ai dati raccolti dall’associazione Luca Coscioni, all’ospedale di Rivoli, che riunisce anche Susa e Venaria, è obiettore di coscienza l’80% dei ginecologi: 12 su 15. Ancora più grave la situazione della struttura di Ciriè, dove la legge 194 viene quotidianamente calpestata senza che la Regione muova un dito. Nel presidio ospedaliero, che accoglie oltre 100mila persone in Regione, abortire chirurgicamente o farmacologicamente è ormai impossibile: su nove ginecologi, nove sono obiettori di coscienza. Le possibilità di impiegare 400mila euro per la reale difesa della 194 e dei diritti delle donne sarebbero, quindi, davvero sconfinate, ma nessuna di queste è indicata dalla misura. “Le donne di oggi – conclude Grimaldi – e quelle delle nuove generazioni hanno bisogno di tutt’altro: aumenti dei salari, dignità nel lavoro, diritto allo studio, poter conciliare i tempi di vita e quelli lavorativi. Tutte questioni totalmente assenti dal bilancio.”