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Ucraina, l’accoglienza dei rifugiati sulle spalle del Terzo Settore

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“Siamo arrivati a Siret, in Romania, e abbiamo portato con noi otto rifugiati. Nessuno di loro doveva andare a Torino, ma ci siamo detti che se riuscivamo ad avvicinarli quanto più possibile a destinazione era meglio di nulla”. Simone Potè fa parte dell’associazione Acmos, che ha sede a Torino e da due settimane sta coordinando le richieste di accoglienza e le disponibilità delle famiglie a ospitare i profughi in fuga dall’Ucraina. È un lavoro complesso, spesso caotico, che tenta con piccoli mezzi di rispondere a un bisogno sempre crescente.

“Prima di partire ci siamo messi in contatto con l’amministrazione locale, che raccoglie sia le disponibilità di chi può accogliere le persone sul posto sia di chi si offre di trasportarle in giro per l’Europa. Siamo arrivati lì per portare alimenti, ma speravamo anche che fosse possibile accompagnare qualcuno in Italia. Per fortuna ce l’abbiamo fatta”. Le otto persone che Simone ha portato con sé nel viaggio di ritorno, due nuclei familiari connessi tra loro, dovevano raggiungere dei parenti che abitano in Italia da anni. Una donna e la figlia sono state accompagnate nei pressi di Milano, mentre il cognato, insieme alla moglie e ai quattro figli, è stato ospitato per una notte a Torino, prima di muoversi verso casa del padre a Roma. L’uomo è riuscito a uscire dai confini del Paese proprio grazie ai quattro figli a carico: chiunque abbia meno di tre figli è, infatti, costretto a rimanere in patria a combattere.

Quelli accompagnati da Simone sono solo otto dei 35 mila rifugiati arrivati in Italia dallo scoppio della guerra, assorbiti quasi totalmente dalla rete di famiglie che hanno deciso di aprire le porte di casa propria. Il coordinamento avviene attraverso le associazioni come Acmos, che, ci racconta Simone, ha deciso di intervenire perché “non vedevamo alcuna risposta istituzionale”. Dall’avvio dell’iniziativa, l’associazione ha ricevuto diverse decine di telefonate da parte di cittadini torinesi, rispondendo a un desiderio di partecipazione che trova ancora pochi altri sfoghi.

Nei giorni scorsi, però, l’apertura del bando della Regione Piemonte per la raccogliere le disponibilità di accoglienza delle famiglie ha determinato una breve interruzione dell’attività di Acmos. “Avevamo deciso di intervenire quando nessuno sembrava reagire all’emergenza, ma da quel momento ci è sembrato giusto confluire nelle iniziative ufficiali per non creare caos. Così abbiamo iniziato a indirizzare verso i canali della Regione chiunque si rivolgesse a noi”.

Ma si è trattato solo di una breve pausa. Su indicazione del Ministero dell’Interno, il Piemonte è stato costretto a interrompere l’iniziativa e chiudere il bando: le disposizioni nazionali prevedono, infatti, che la sistemazione dei rifugiati in famiglie sia subordinata alle altre forme di accoglienza – Cas, Sai e strutture pubbliche – e che vi si ricorra solo in caso di saturazione dei posti nelle altre strutture. “Viste le ultime novità, – dice Simone – dovremo rivedere le nostre attività e riprendere i contatti con le famiglie”.

Il circuito nazionale di accoglienza non è ancora attivo, ma le persone continuano da settimane ad arrivare nel nostro Paese. Si tratta di flussi moderati, per quanto costanti, formati da persone che, per la maggior parte, sono diretti presso familiari. Per i tanti che non hanno un posto dove andare, però, il lavoro delle associazioni si rende ancora necessario. “Siamo una realtà piccola e non possiamo fare molto, ma cercheremo di capire quale sia il modo migliore di impiegare le risorse. Il prossimo viaggio poi potrebbe essere verso il confine della Polonia, dove i flussi sono maggiori”.

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