“Vado a cercare le taniche per la benzina”. Monica Perosino, corrispondente di guerra per La Stampa, chiude la telefonata con una frase dal sapore ironico. Ora si trova a Dnipro, in Ucraina, ed è lì da circa un mese. In città il combustibile è razionato – è possibile prelevarne 20 litri per volta – ma mancano i contenitori. E finché non se ne trovano, non è possibile muoversi.
Monica fa parte di un gruppo di sei giornalisti e operatori italiani, e trova riparo in un albergo che ha riaperto solo per ospitarli. Hanno a disposizione una macchina che, al momento, ha un’autonomia di 450 km. Troppo pochi, perché Dnipro si trova a sud di Kyiv, e solo dalla capitale – che è al centro del paese – dista 500 km. Dnipro è, attualmente, nel limbo dell’attesa: “Ci sono allarmi di sirene per eventuali attacchi e lanci di missili, ma nelle ultime 72 ore non è successo nulla. Tre giorni fa ci sono stati bombardamenti, per fortuna senza vittime”.
Le macchine dovrebbero essere almeno due, per potersi muovere in sicurezza. Perché si parte sì, ma “se ti fermi in mezzo al nulla e stanno sganciando bombe, quando un veicolo viene coinvolto almeno c’è l’altro”. Mentre un convoglio di 60 km di mezzi pesanti e artiglieria russi si avvicina verso Kyiv, dove ieri è stata anche colpita l’antenna della tv di Stato, con un bilancio di cinque vittime tra i civili.
A Dnipro i cittadini si preparano a difendersi. La città si è per la maggior parte svuotata, ma chi è rimasto organizza la resistenza. Dice Monica che “È diventata famosa in Ucraina per essere una roccaforte. Si stanno moltiplicando barricate, uomini e donne armate, bambini che costruiscono bombe molotov”. La reporter tiene a sottolineare la campagna di disinformazione che gli ucraini stanno subendo: il riarmo viene subito associato ai movimenti di estrema destra, di matrice neonazista. Ma semplificare non è il caso, perché il patriottismo della popolazione è in gran parte non ideologico e si ricollega al legame viscerale con la propria terra. Dal 2014 – anno del referendum plebiscitario con cui la Crimea è entrata nella Federazione Russa e della nascita della questione del Donbass – gli ucraini si sentono in uno stato di allerta costante.
“Loro – prosegue Monica – vivono l’invasione della Russia in modo quasi animalesco, nel senso positivo del termine. Vogliono proteggersi da un atto che qui è vissuto come un sopruso. L’invasione non ferisce solo i valori – la libertà, l’autonomia di questa comunità – ma è vista come un esproprio. In questa parte dell’Ucraina la popolazione è in larga parte dedita all’agricoltura. La terra per loro ha un’importanza simbolica ed esistenziale”. Per questo, nel raccontare cosa la sta colpendo di più della popolazione risponde che “è l’unione di intenti primordiale, di difesa territoriale e della propria indipendenza. Un movente per agire molto diverso dal nazionalismo ‘occidentale’ e ‘da salotto’ a cui siamo abituati”.
E poi la forza d’animo. Sembra che non ci siano più conflitti sociali ed economici, perché le persone guardano alla collettività: “Anziani, bambini, insegnanti, ingegneri, imprenditori, tutti qui si stanno mettendo in gioco. Escono per strada e danno una mano. L’altro giorno, mentre mi trovavo al mercato alla ricerca di una tanica, un uomo mi ha ceduto la sua. Mi hanno regalato un giubbotto antiproiettile, e ci chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa. Paradossalmente sono loro ad aiutare noi”.
Quando un intero paese è in guerra, il quadro è in continua evoluzione e una destinazione sicura non c’è. “Dipende dalla situazione sul campo – prosegue Monica – dobbiamo studiare con le mappe, ora per ora, quali sono le strade che stanno sotto i bombardamenti, quali sono quelle già occupate, quali quelle sicure”. Ma anche pianificare i movimenti non esclude i rischi: “L’altro ieri – dice Monica – ho saputo di un mini convoglio di profughi che stava andando a Uman. SI tratta di una tappa intermedia in Ucraina, per chi cerca di raggiungere la Polonia. Ecco, Uman è finita sotto i bombardamenti. Si naviga totalmente a vista”.
Monica, con una voce ridente e reattiva, non nasconde la difficoltà mentale del momento. “Stare sempre in tensione, notte e giorno, e scrivere tutti i giorni, dopo un po’ ti fa perdere la freschezza. E attualmente non sappiamo se e come uscire da Dnipro”. E poi il dissidio tra il desiderio di rientrare in Italia e quello di restare in Ucraina per raccontare. “Mi sembrerebbe di tradire ciò che sta succedendo qua. Scrivere è un modo di aiutare gli ucraini. Sto combattendo contro questo istinto, quindi vediamo: se i russi avanzano da sud [da Mariupol, circondata dalle truppe russe poche ore fa, n.d.r.], ci sarà poco da raccontare. Bisognerà solo scappare”.