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Perché Sanremo è Sanremo (anche per i millennials)

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Una kermesse che è lo specchio delle trasformazioni nel costume, nel linguaggio e nella società italiana. Il festival di Sanremo, a settantadue anni di età, continua ad attrarre il grande pubblico, non più composto dal solo zoccolo duro di ultracinquantenni affezionati. Adriano Pugno, classe 1990, insegnante della scuola Holden di Torino, è autore insieme a Vittorio Polieri del libro Perché Sanremo è Sanremo, e racconta a Futura un festival che, tra scivoloni e lustrini, è riuscito a fare breccia nelle orecchie di diverse generazioni (e non solo quella dei “boomer”).

“Ho 30 anni e non dovrei essere il pubblico di riferimento di questo spettacolo – dice Adriano -, nonostante io lo segua da quando ero piccolo. Allora lo conducevano Pippo Baudo, Mike Bongiorno. La cosa che mi interessava era come Sanremo raccontava l’Italia e la società”. Come tutte le storie che attraversano un paese, anche Sanremo ha avuto il suo periodo buio. Il 2008 è stato l’annus horribilis, quando fu superato negli share da Il Grande fratello e da I Cesaroni. Lì il Festival ha dovuto reinventarsi, ma l’avvento dei social network e la contaminazione dei talent show gli hanno permesso di sopravvivere: “Con le vittorie di Marco Carta, Valerio Scanu ed Emma Marrone si è capito che il pubblico era cambiato, perché anche i giovani hanno iniziato a seguirlo attivamente. Con i social e la possibilità di commentare e postare durante le dirette, il Festival è diventato anche più interattivo”.

I trentenni di oggi – i cosiddetti millennials – hanno seguito la parabola di Sanremo. Sono parte del cambiamento del festival, e il festival è entrato anche nelle loro vite: “Un prodotto che è stato sempre appannaggio di persone dai 50 anni in su – prosegue Adriano – negli ultimi anni è seguito attivamente anche dalla nostra generazione. Pensiamo all’edizione dell’anno scorso, con artisti come Madame, La rappresentante di lista, Willie Peyote e i  Måneskin. La presenza di questi cantanti conferma che esiste un nuovo pubblico – noi trentenni – che ha preso una trasmissione morente e l’ha fatta propria”.

E se Sanremo si è adattato al cambiamento del panorama musicale, il nuovo pubblico ha una routine che ruota intorno alla kermesse. Secondo Adriano “per la generazione dei millennial, famosa per essere precaria e per non avere nulla di stabile, Sanremo è quasi come il Natale: una sorta di ricorrenza fissa e immutabile negli anni, una tradizione. Cartoni di pizza e si vede la finale in compagnia a casa di amici, e i giorni prima si ci si aggiorna sui gruppi Whatsapp dedicati”. Cambia il target, ma cambia anche il modo in cui viene percepito lo spettacolo. Sanremo, infatti, pare non si identifichi più con l’evento di punta di “mamma Rai”. Come evidenzia Adriano, “ormai il Festival ci fa venire in mente la gag dei The Jackal con Beppe Vessicchio, o i meme, come quelli di Bugo e Morgan: tutti fenomeni non riconducibili alla Rai”.  

Quanto ai pronostici di questa nuova edizione, secondo Adriano l’attenzione mediatica sarà massima, anche perché l’Eurovision song Contest 2022 si terrà in Italia, a Torino. “Sono stati richiamati artisti come Emma ed Elisa – entrambe non tornano da un bel po’ sul palco dell’Ariston – e poi i big della tradizione: Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Iva Zanicchi. Quindi è un anno più difficile per i pronostici”. Ma Adriano azzarda qualche proposta: “Mahmood e Blanco sono sulla cresta dell’onda, sono entrambi molto amati, con un pubblico trasversale e apprezzati dalla critica. Ma a spuntarla secondo me sarà Elisa, che oltre a piacere a tutti ha anche una sua “internazionalità”, il che potrebbe essere un punto a favore, visto che l’Italia ospiterà l’Eurovision”. Ma Sanremo molto spesso sovverte i pronostici: “Nessuno si aspettava la vittoria dei Måneskin, o di Mahmood. Quindi chissà, magari quest’anno vince Gianni Morandi, e comunque sarebbe una bella storia da raccontare”. 

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