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Come il Covid ha cambiato lo sport

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Le misure adottate per contenere il contagio da COVID-19 hanno prodotto contraccolpi significativi dal punto di vista della salute fisica e mentale.

In particolare, l’impossibilità di praticare una regolare attività fisica ha rappresentato, sin dall’inizio del blocco agli spostamenti, una delle principali fonti di disagio per un numero consistente di cittadini, ritrovatisi improvvisamente privi di una valvola di sfogo fondamentale.

È il caso di Bruno Scaglione, centometrista non professionista residente a Torino: “Nel primo lockdown, Marzo/Aprile 2020, tranne per pochi eletti d’interesse nazionale, era praticamente impossibile allenarsi. Le piste di atletica e le palestre erano chiuse a tutti gli altri atleti. Molti si allenavano come potevano – prosegue Scaglione – per strada o nei parchi, cercando di adeguarsi alla situazione. Soltanto da fine Maggio è stato concesso a tutti gli altri atleti di poter finalmente riutilizzare gli impianti e le palestre. Personalmente sono stato fermo quasi tre mesi, un mese per il lockdown e due mesi per positività al virus che mi ha costretto a casa, per fortuna senza gravi conseguenze. Una volta uscito dalla quarantena a fine maggio, avendo pista e palestre disponibili, non ho più avuto problemi ma ormai la stagione competitiva era già andata”.

Bruno Scaglione, centometrista

Tuttavia, da settembre in poi la situazione è migliorata: “Dal secondo lockdown, e ancora adesso, l’atletica è stata una delle discipline più fortunate. Le piste sono state quasi sempre disponibili per tutti gli iscritti alla federazione. Ovviamente facendo attenzione a mantenere il più possibile le distanze di sicurezza. La chiusura delle palestre mi ha creato non pochi problemi, visto che un buon 40% del mio allenamento avviene lì, ma in qualche modo sono riuscito ad adattarmi modificando gli esercizi, facendone più a carico naturale o con poco carico”.

Per Federica Tessari, studentessa e redattrice della rivista universitaria Scomodo, la pandemia non ha rappresentato un forte deterrente per la pratica sportiva: “Trovare una quadra tra vita online e offline e trovare il tempo per fare sport è difficilissimo, soprattutto per la mia piccola esperienza. Ad esempio, ho sempre fatto yoga in compagnia, ma mi sono ritrovata a esercitarmi in solitaria. Per quanto riguarda la corsa, diciamo che la mia routine non ha seguito grandi variazioni, se non quella di correre indossando la mascherina”.

Un caso diametralmente opposto è, invece, quello del personal trainer Alessio Dalessandro: Nelle prime settimane ho provato ad andare a correre in totale solitudine al mattino presto o nel tardo pomeriggio, poi ho smesso perché la gente che incontravo mi insultava totalmente o parzialmente. Ho smesso di correre fuori, quindi ho continuato ad allenarmi nel cortile: non è stato un bel periodo”.

Alessio Dalessandro, personal trainer

Anche l’istruttore di atletica Fabrizio Cavallo ha sperimentato tutte le difficoltà connesse al blocco degli spostamenti: “In alcuni sport, in particolare la velocità e il salto in lungo e triplo, in cui ognuno gareggia in tempi diversi, le occasioni di contagio non sono così alte e, non a caso, i tassi di contagio sono stati bassissimi. Speriamo che lo sport possa tornare alla normalità il prima possibile, ovviamente in totale sicurezza”.

Fabrizio Cavallo, istruttore d’atletica

Nell’ultimo anno, grazie all’intensificazione degli studi sul tema, il nesso che lega sport e salute mentale è finito sotto la lente d’ingrandimento di un gran numero di ricercatori. Ad esempio, il 50% dei soggetti intervistati nell’ambito di una ricerca condotta da Sport e Salute, realizzata in collaborazione con SWG, ha dichiarato di aver sentito la mancanza delle attività fisiche e sportive svolte nella quotidianità.

Inoltre, è stata registrata un’ampia quota di persone che non è riuscita a valorizzare il tempo del blocco sotto forma di cura della salute e svolgimento di attività fisica: il 39% di essi ha affermato di aver accumulato peso e il 35% ha dichiarato di sentirsi in colpa per non essersi mantenuto attivo nel corso della quarantena.

A confermare questa tendenza è anche un’indagine condotta fra studenti e dipendenti delle università di Pisa, Firenze, Torino, Genova e Messina.

Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica PLOS ONE, ha consentito di raccogliere informazioni relative allo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown nei mesi di aprile e maggio dello scorso anno.

I partecipanti sono stati ingaggiati attraverso un sondaggio online a cui hanno aderito 18.120 persone tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo delle università che hanno preso parte al progetto.

I risultati della ricerca hanno evidenziato come elevati livelli di ansia o depressione fossero presenti con maggiore frequenza fra partecipanti con un basso reddito e coloro che, durante il blocco imposto dalle restrizioni, hanno dovuto interrompere la pratica dell’attività fisica. Di contro, chi è riuscito a praticare con continuità attività fisica durante il lockdown ha avuto un rischio ridotto del 20% di soffrire di ansia e depressione, mentre chi ha interrotto la pratica dell’esercizio fisico ha avuto un rischio maggiore del 50%.

Non dovesse bastare, gli autori del lavoro hanno stimato che, se durante il blocco si fossero potuti mantenere gli stessi livelli di attività fisica, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione.

Queste rilevazioni suggeriscono che durante la pandemia la promozione della pratica dell’attività fisica in condizioni di sicurezza dovrebbe essere una priorità di salute pubblica per il contenimento dell’inevitabile aumento del disagio psicologico associato all’insicurezza socio-economica della popolazione.

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