Il mondo cambia e con lui i nomi con cui andiamo a descriverlo. «Oggi non bisogna più parlare di alcolismo, etilismo, abuso di alcol bensì di “Dua”, disturbo da uso di alcool. Le parole sono importanti e dobbiamo usarle con precisione» afferma il dottor Sarino Aricò, che continua a gestire il Day Hospital Alcologico al Mauriziano di Torino nonostante la pensione già raggiunta.
Si tratta di un luogo dove si possono eseguire indagini per l’identificazione delle patologie da alcol (fegato, pancreas, cuore, cervello), sottoporsi a terapie per il superamento dell’astinenza fisica, attivare colloqui individuali e famigliari, essere avviati ad un trattamento di gruppo.
UN PROBLEMA TABÙ
«L’alcologia – continua il medico – è una disciplina che in Italia è attiva da 30 anni. Purtroppo è poco diffusa: per questo bisogna incentivare l’interesse di giovani medici affinché si sviluppi questo studio».
Come la pioggia, anche l’alcol può cadere su ciascuno di noi. Non esiste un identikit specifico di soggetto interessato. «Nella mia lunga carriera, ho visto giovani e meno giovani, ricchi e poveri, donne e uomini, depressi o meno» ricorda Aricò. Ma questo problema è chiuso dentro un vero e proprio tabù culturale: nessuno ne vuole parlare. «Eppure – sostiene il medico – sarebbe importante sapere che ereditiamo dai nostri nonni l’appetito patologico verso l’alcol (“craving”)».
Questa nuova terminologia, proveniente dall’America, ben si adatta alla crescente consapevolezza del ruolo preminente che ha la predisposizione genetica, sia nel determinare la tendenza all’assunzione di alcolici, sia nel predisporre gli organi del nostro corpo ad ammalarsi.
I NUMERI DELL’ALCOL
La situazione attuale, a Torino ma non solo, vede una continua crescita del numero di donne che assumono alcol, nonostante tradizionalmente le donne stesse siano più vulnerabili ai danni derivanti dal disturbo di uso del prodotto. «Il rapporto uomo/donna trent’anni fa – continua Aricò – era di 3 a 1. Oggi è sceso a 1 a 1. Parallelamente il consumo si sta diffondendo sempre più fra gli adolescenti: l’età di battesimo all’alcol è scesa a 12 anni». Pensando agli under 25, Aricò dedica quotidianamente considerazioni e aiuti per aumentare la loro consapevolezza nei confronti dei rischi.
COME BEVONO I GIOVANI
«Si può fare festa – continua il medico – e stare in gruppo anche senza sballarsi. É molto pericoloso il “binge drinking”, cioè il bere tanto in breve tempo proprio per diventare ebbri. In America, dove questo fenomeno è iniziato prima, è stato dimostrato che il “binge drinking” comporta in età adulta rischi di danni al cervello. Ci sono ragazzi che si versano vodka nella congiuntiva per raggiungere rapidamente “l’estasi”». Le conseguenze sono gravi e, spesso, irreversibili: danni epatici, atrofia cerebrale e aumentato rischio di tumore alla mammella. «Ai giovani dico che è saggio ricercare la gioia nelle cose belle della vita, quindi nella cultura, nell’ amicizia, nei viaggi, nella solidarietà e non nell’alcol» confida Aricò, speranzoso di assistere a un cambio di mentalità da parte dei ragazzi ma non solo.