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Donald Trump pronto a lasciare gli Accordi di Parigi sul clima. Le conseguenze spiegate dal professor Umberto Morelli

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Il presidente Donald Trump è pronto a portare gli Stati Uniti fuori dagli accordi di Parigi. La decisione arriverà alle 9 di questa sera 1 giugno. Il patto, raggiunto alla COP21, la Conferenza sui cambiamenti climatici del 2015, potrebbe essere abbandonato dal partner più importante. L’annuncio, twittato dall’inquilino della Casa Bianca, arriva dopo l’insuccesso del vertice di Taormina in cui i capi di stato delle sette più ricche democrazie occidentali non hanno trovato un accordo soddisfacente in materia di politiche ambientali. “Uno spaventoso passo indietro nella politica americana” lo ha definito Umberto Morelli, professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Torino. Un insuccesso che rischia di compromettere la prossima tappa del G7 prevista a Bologna l’11 e il 12 giugno per discutere di ambiente.

Professore, dopo i risultati deludenti di Taormina, che peso ha oggi il G7?

E’ chiaro che questo vertice è stato un fallimento. Ormai è obsoleto, non essendoci la Cina, i Paesi emergenti e la Russia, che è una grande presenza a livello internazionale. Sicuramente oggi è più rappresentativo il G20 a cui partecipano anche le altre potenze. Il colpo definitivo al G7 è stato dato da Donald Trump.

Si riferisce alle dichiarazioni sul cambiamento climatico?

Sì, ha dato una picconata agli accordi di Parigi. Ma questo già prima del G7. Dalla sua elezione ha autorizzato la costruzione di oleodotti, incoraggiato l’uso del carbone rispetto alle fonti energetiche rinnovabili. Il mondo ormai è una pattumiera, lo ha capito perfino la Cina. L’attuale politica americana è la dimostrazione di come Trump non stia ragionando in termini globali. I capi di stato si guardano l’ombelico pensando sia il centro del mondo ed utilizzano categorie ottocentesche che non sono più attuali. Il mercato è globalizzato, la politica no, e questo genera una discrepanza che va colmata.

La politica ambientale di Trump è impopolare. Non rischia di perdere consensi?

I suoi sostenitori sono ben contenti delle decisioni che sta prendendo. E’ vero che sono aumentate le contestazioni ma molti Americani lo hanno votato e ancora lo sostengono. Sono le compagnie petrolifere invece, tra cui la ExxonMobil, di cui faceva parte l’attuale segretario di Stato Rex Tillerson, che rischiano di essere danneggiate dalle politiche del presidente. Negli ultimi anni infatti hanno puntato a diversificare gli investimenti a favore delle energie pulite perché sanno che quello è il futuro.

Per lasciare COP21 ci vogliono quattro anni. Un tempo sufficientemente lungo per cambiare presidente?

Sinceramente me lo auguro. C’è però un dato da considerare, se dovesse decadere per impeachment verrebbe sostituito dal vicepresidente Mike Pence che sotto molti punti di vista, in particolare in materia di politica ambientale, la pensa come Trump.

Senza l’ostacolo degli Stati Uniti nelle trattative, sarà più facile per gli altri Paesi arrivare ad un accordo?

Dipende dalle scelte che faranno l’Europa e la Cina. E’ necessario che rafforzino il rapporto, anche con Putin, considerando tutti i rischi e i limiti di un accordo del genere. Il dialogo deve riguardare anche altri temi oltre al cambiamento climatico, penso al problema della sicurezza, che riguarda tutti gli Stati.

Nella prossima tappa del G7 a Bologna si parlerà di clima. Cosa si aspetta?

Le previsioni spesso si fanno per essere smentite. La Brexit e l’elezione di Trump sono un esempio. Posso dire però che non mi aspetto grandi risultati. Credo ben poco nell’America, spero almeno nel buonsenso degli altri. La difesa degli interessi nazionali paga solo a breve termine. Dobbiamo capire che viviamo in un mondo globalizzato.

LUCREZIA CLEMENTE