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Il presidente del Cus D’Elicio: “Lo sport agonistico sta morendo”

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Scorrono le immagini: “Qui sono con Sotomayor, qui accanto a Edwards e qui ancora con Michael Johnson…”. Dalle foto con i grandi dell’atletica leggera e dal tappeto all’ingresso dell’ufficio raffigurante una pista a sei corsie, si intuisce immediatamente quanto Riccardo D’Elicio, presidente del Centro Universitario Sportivo di Torino da più di 15 anni, sia un “malato” di sport. “Facevo l’allenatore nazionale di salto in alto, era la mia passione: vedere gli atleti volare a 2.40 ancora mi emoziona”. Poi nel 1999, dopo la morte di Primo Nebiolo (l’uomo che ideò le Universiadi), ha fatto un altro salto, stavolta dietro la scrivania.

Com’è stato passare dal campo al ruolo da dirigente?

“Non semplice: quando sono arrivato 18 anni fa ho trovato un Cus indebitato di un miliardo di euro e con un scarso contatto con il territorio. Ora ha un bilancio sano di cinque milioni di euro, con più di 400 persone che collaborano con noi. Quello che mi rattrista, però, è che oggi lo sport agonistico sta morendo”.

Come mai?

“Le società ormai non sono più al centro del sistema sportivo. Le istituzioni come il Coni e le federazioni non possono continuare a richiedere tesseramenti sempre più costosi, regole sempre più restrittive, rischi sempre più grandi. Così si allontana la gente dallo sport”.

Qual è il suo rimedio?

“Se lo sport vuole sopravvivere, deve entrare nel sistema sanitario. Oggi l’attività fisica va vista come il farmaco a costo zero. L’88% del budget della regione Piemonte è dedicato alla sanità. Se riuscissimo a estrapolare anche lo 0,5%, circa 40-50 milioni di euro, riusciremmo a organizzare una marea di attività in più. Attualmente il bilancio per lo sport non supera gli 800mila euro. È normale?”.

Non esiste ancora una cultura del “servizio sport”?

“Certamente non è paragonabile a quella dell’estero. Nei maggiori poli universitari inglesi, svizzeri o austriaci, l’attività didattica è accompagnata da servizi spettacolari, ultramoderni. Noi abbiamo 200mila metri quadri di impianti sportivi, tutti di 40 anni fa, tutti da rinnovare. Voglio che lo sport venga qualificato come merita, credo che nella qualità della vita bisogna investire”.

È un messaggio all’Università di Torino e al Politecnico?

“Devono capire che ormai lo studente non vive solo cinque ore al giorno all’università, ma dieci. E l’attività fisica è indispensabile. Ad esempio, il nuovo Campus Luigi Einaudi è bellissimo da vedere ma non c’è alcuna traccia di impianti sportivi. Il massimo è un tavolo da ping-pong che ho regalato io all’Università. Con le vetrate c’era la possibilità di creare una palestra tra le più avveniristiche in Europa, invece niente. E se il nuovo campus di Grugliasco nascerà senza un impianto sportivo, vorrà dire he abbiamo perso tutti”.

Com’è, invece, il rapporto con la nuova amministrazione comunale?

“Per quanto riguarda “Just the Woman I Am”, la sindaca Appendino è stata da subito molto disponibile. In passato, aveva già svolto la corsa da cittadina e non ha esitato a sposare l’iniziativa. Per il resto bisogna dare un po’ di tempo. Un solo spunto di riflessione: il 60% delle palestre scolastiche sono chiuse perché inagibili. Cosa parliamo a fare di attività fisica se poi neanche abbiamo lo spazio per fargliela fare?”.

Quali saranno le prossime iniziative del Cus?

“Tra playoff delle varie attività agonistiche e camp estivi, la stagione entra nel vivo. In più un’anteprima: Taipei, organizzatrice delle Universiadi 2017, ha scelto Torino come città della cerimonia inaugurale. La “fiaccola del sapere” partirà da dove è nata”.

Emanuele Granelli