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A Biennale Democrazia i fautori delle monete complementari per uscire dalla crisi

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Crisi di liquidità, scarsa velocità di circolazione delle monete ufficiali, aste fallimentari deserte, deflazione e sfiducia verso la finanza. Emergenze economiche che riguardano il mondo globalizzato, l’Europa, l’Italia. Che fare? La soluzione potrebbe essere quella delle monete virtuali complementari affiancate da banche di compensazione: dalla storica Wir nata nel 1934 in Svizzera alle italiane Sardex, Venetex, Marchex e Piemex fino ai popolari Bitcoin, il cui valore nominale ha superato quello dell’oro. Ma sono soldi veri?

“Sono veri a seconda di come si definisce la moneta”, hanno risposto all’unisono Carlo Mancosu, fondatore di Sardex, Eugenio Leanza, membro della Banca europea degli investimenti e Massimo Amato, professore associato dell’Università Bocconi all’incontro di ieri al Teatro Gobetti per Biennale Democrazia.

Le considerazioni di John Maynard Keynes, Jacques Rueff e Antonio Gramsci sulla moneta come strumento di incontro tra debitori e creditori e la definizione latina di “finantia”, definizione amichevole di una controversia, hanno posto un contro-interrogativo provocatorio sulle monete ufficiali di oggi, ovvero se esse siano o meno vere, considerati i problemi che investono la società di oggi. Le monete complementari sono quegli strumenti che permettono ai soggetti inseriti in un circuito di pagare i loro debiti con i loro crediti (previa accettazione volontaria, non obbligatoria) facilitando lo scambio e gli acquisti di beni: stando a quelle considerazioni, la risposta alla domanda posta è “sì”. Carlo Mancosu, ideatore nel 2010 del circuito sardex.net, ha sottolineato come la velocità di circolazione del Sardex sia circa sei volte superiore quella dell’Euro (11,2 contro 1,9) perché in generale non conviene accumulare crediti, ma creare connessioni e legami tra le persone e i territori, aumentando la produttività.

Legame che, per Eugenio Leanza, è valso anche dal punto di vista industriale per le monete ufficiali fino al Black Monday del 19 ottobre del 1987: la forma metropolitana era nata con un progetto industriale fordiano ed economico keynesiano per collegare quelle che erano le tecnologie portanti del sistema, ma con le economie di diffusione come quella del dollaro nei Paesi produttori di petrolio questo legame si è affievolito fino a scomparire con l’era del digitale che sta dematerializzando la moneta sottoponendola al tasso di interesse.

Da realtà consolidate come Sardex, che genera più di 50 milioni di euro di scambi all’anno, a progetti rivoluzionari come Common di Pasquale Liccardo, direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia. Common è una moneta complementare, attualmente in discussione in Parlamento, pensata per risolvere il problema dei crediti in sofferenza tipici dei processi di fallimento giudiziario che hanno una durata media di sei anni sia per la scarsa liquidità in giro che per l’atteggiamento opportunista di chi gioca al ribasso per acquistare i beni alle aste fallimentari. Un sistema che permette protezione sia al debitore insolvente che al creditore attraverso la creazione di un marketplace comune, una camera di compensazione e un fondo immobiliare specifico delle aste dove “mettere da parte” i beni non venduti.

Liccardo era previsto tra i relatori dell’incontro, ma il professor Amato ha riassunto i caratteri principali del progetto: fissazione in “common” di un prezzo minimo dei beni del debitore e certificazione del credito per il creditore, che potrà scegliere se investirli in altre aste fallimentari oppure essere liquidato cambiandoli con la moneta ufficiale o ancora saranno immessi nel fondo immobiliare. In questo modo, secondo Liccardo, si dimezzerebbero i tempi dei fallimenti.

I relatori hanno concordato nel dire che strumenti del genere rappresentano un’opportunità per aumentare la liquidità e la velocità di circolazione, la domanda di un bene e quindi il suo prezzo, provando ad uscire da una spirale deflazionista che ha compresso il mercato negli ultimi anni. Se davvero rappresentano una via d’uscita dall’emergenza economico-finanziaria, perché non vengono adottate a livello nazionale?

“In questo momento il discorso è fantapolitica. Se fossero adottate a livello nazionale, anziché locale, sarebbe meglio per tutti, ma io dovrei trovarmi un altro lavoro”, ha concluso Mancosu di Sardex.

ARMANDO TORRO

 

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