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L’omosessualità, i topi e la neurogenesi: ecco la vera scoperta dell’Università di Torino

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È dell’Università di Torino ed è molto recente lo studio sull’attrazione omosessuale dei topi che tanto ha fatto parlare negli ultimi giorni. E spesso a sproposito. Secondo le parole di Paolo Peretto, professore dell’Università e del Nico (Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi) e coordinatore della ricerca, «l’attrazione verso il proprio

sesso o il sesso opposto è un meccanismo che è regolato dal funzionamento dei circuiti neurali, è un concetto banale ma spesso ignorato». Cosa ci dice davvero la ricerca? Abbiamo chiesto al professor Peretto, e a quanto pare siamo stati tra i pochi a farlo.

Paolo Peretto, coordinatore della ricerca.
(foto di Martina Pagani)

Da chi e quando nasce lo studio?

La ricerca deriva in gran parte dal lavoro di una dottoranda in Neuroscienze dell’Università di Torino, Roberta Schellino. È partita quasi per caso studiando le interazioni tra neurogenesi e ormoni gonadici, ed è durata tre anni – dal 2012 al 2015. Dopo un anno e mezzo di rifinitura, la pubblicazione su Scientific Reports a fine 2016.

Partiamo dalla terminologia scientifica. Cosa sono plasticità neurale e neurogenesi?

La plasticità neurale è l’abilità del cervello (o meglio, dei circuiti neurali) di modificarsi o adattarsi in base agli stimoli provenienti dall’ambiente. La neurogenesi è invece la possibilità che il cervello ha di produrre nuovi neuroni – ovvero, per dirla in modo scientifico, di integrare cellule nei circuiti preesistenti. Gli studi su plasticità neurale e neurogenesi risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta ma sono costantemente materia di studio per i biologi di base. Le due domande più rilevanti in merito riguardano la possibilità di rigenerare i neuroni persi in seguito a patologie o traumi e l’utilità della produzione di nuovi neuroni nella normale funzionalità del cervello.

Qual è l’utilità della neurogenesi per lo studio dell’Università di Torino?

I biologi di base sfruttano i topi da laboratorio per i loro studi, perché hanno condividono molte caratteristiche fisiologiche e in parte comportamentali con l’uomo. Nei topi i nuovi neuroni prodotti con neurogenesi adulta si spostano verso l’area del cervello che regola l’olfatto, e cioè il bulbo olfattivo, che nei topi è molto più sviluppato rispetto agli uomini. Spostandosi e concentrandosi nel bulbo olfattivo, i “nuovi” neuroni migliorano la capacità dei topi di percepire i feromoni.

Il comportamento sessuale nei topi è indotto dalla percezione di feromoni

Cosa sono i feromoni e perché è importante percepirli?

Sono segnali (odori) individuali, cioè dipendenti dal corredo genomico e pertanto differenti in ciascun individuo. I feromoni sono utilizzati in numerose specie per la comunicazione sociale e sessuale, e la loro unicità permette il riconoscimento individuale. Tra questi feromoni esistono anche quelli sessuali. Nei topi e in molti altri animali, i feromoni percepiti dalla femmina promuovono il comportamento riproduttivo attivano le gonadi e favorendo la neurogenesi adulta. Invece i feromoni sessuali maschili se percepiti da altri individui maschi suscitano aggressività e non aumentano la neurogenesi. Esistono degli studi degli ultimi anni che mettono in relazione i neuroni prodotti con neurogenesi (che, ricordo, stimolano la produzione di feromoni) con gli ormoni gonadici: in particolare, gli ormoni regolano la produzione di attività neuronale.

Cosa sono gli ormoni gonadici e dove si trovano?

Gli ormoni gonadici sono quelli prodotti dalle gonadi, cioè da testicoli e ovaie. Il principale ormone maschile è il testosterone, quelli femminili sono estrogeni e progesterone.

Questo come entra in relazione con lo studio dell’Università?

Il professor Peretto e la sua squadra hanno usato un modello di topo caratterizzato da ipogonadismo, ovvero scarsa produzione da parte dei maschi di testosterone, che è l’ormone gonadico maschile. La scoperta del team del Nico è stata che gli individui ipogonadici maschili, se esposti a feromoni di altri maschi, rispondono come gli individui femminili, cioè aumentando la neurogenesi – e non, invece, aumentando l’aggressività come solitamente fanno gli individui maschili esposti a feromoni maschili.

Qual è il comportamento dei maschi affetti da ipogonadismo?

Questi esemplari non hanno problemi ad accoppiarsi e riprodursi con le femmine, ma effettivamente non era mai stato studiato il comportamento di maschi ipogonadici se messi in relazione con maschi sani e femmine allo stesso tempo. Per questo i ricercatori del Nico hanno condotto un test di preferenza sessuale:

 

 

In una gabbietta costituita di tra scompartimenti sono stati messi topi maschi con ipogonadismo, maschi sani e femmine. Lo scompartimenti centrale ha due passaggi, uno a destra e uno a sinistra, per permettere agli esemplari di spostarsi verso le femmine o verso i maschi. Le linee tratteggiate rappresentano una parete di plexiglass forata per dividere gli animali. Generalmente il maschio preferisce nettamente la compagnia della femmina, ma i maschi ipogonadici si dirigono con sicurezza verso gli altri esemplari maschi.

La neurogenesi nel cervello di topi e uomini

Qual è quindi la conseguenza?

La conseguenza è che se le gonadi producono poco testosterone si ha una modulazione diversa della neurogenesi nel bulbo olfattivo, che è a monte di una catena di eventi che porta alla diversa regolazione dell’attività sessuale, e in particolar modo alla sua femminilizzazione (termine scientifico con grande dibattito etico) con la preferenza degli individui maschi verso il proprio sesso. La scoperta e conseguenza ultima è che la neurogenesi nel bulbo olfattivo è coinvolta nella regolazione della attrazione sessuale.

 Cosa si può estrapolare da questa ricerca e, inoltre, è necessario estrapolare qualcosa?

Uomini e topi non sono la stessa specie, il bulfo olfattivo dei topi è molto più sviluppato di quello degli uomini e noi non abbiamo neurogenesi adulta nel bulbo olfattivo. Ma le due specie hanno un corredo genetico molto simile. Tuttavia, lo studio è condotto da biologi di base, che si occupano appunto della biologia di base nei topi. Nonostante lo studio rientri nella cosiddetta ricerca di base, quello che Paolo Peretto ha volutamente estrapolato è un concetto con una forte connotazione sociale e solidale: l’omosessualità non è una malattia ma il frutto di una specifica organizzazione e attivazione dei circuiti neurali che regolano alcuni aspetti del comportamento sessuale. Secondo le sue parole, estrapolare questo tipo di concetto è necessario per «far capire che non bisogna sentirsi malati, strani o perversi se si è attratti dal proprio stesso sesso» perché è, appunto, «una questione di funzioni neurali che per diverse ragioni si sono organizzati in un dato modo».

Come è stato recepito questo studio dall’opinione pubblica?

Purtroppo, lamenta Peretto, c’è stata una mancanza di precisione nella divulgazione della notizia da parte di siti e riviste di settore – di qualunque settore, dal mondo gay al mondo ultracattolico. I siti e i magazine si sono limitati a leggere il comunicato stampa che è obbligatorio presentare dopo la pubblicazione scientifica di uno studio, senza però capirlo a fondo, contestualizzarlo e chiederne conferma. «Sono ben pochi quelli che mi hanno chiesto un’intervista, i più hanno preso il comunicato e ci hanno ricamato e spesso inventato sopra».

 

MARTINA PAGANI